Simone Inzaghi e l'esilio dorato: "tra applausi, silenzi e ingratitudine"!
Simone Inzaghi, nel silenzio più totale
dopo quattro anni intensi, ha lasciato l’Inter. Lo ha fatto pochi giorni dopo
una clamorosa e inspiegabile sconfitta per 5-0 nella finale di Champions League
contro il PSG, come se la sua squadra non fosse mai realmente scesa in campo. E
questo, dopo aver eliminato in semifinale uno dei Barcellona più forti degli
ultimi dieci anni, con una prestazione tatticamente perfetta e con quel pizzico
di coraggio e fortuna che nel calcio non guastano mai. Il crollo finale, soprattutto
in campionato e inspiegabilmente nella partita più importante dell’anno, è
stato fatale, ma anche profondamente amaro.
Eppure, i Mass media e parte della tifoseria non hanno avuto nessun dubbo: da allenatore
in ascesa del calcio europeo a tecnico sopravvalutato e fortunato, il passaggio
è stato fulmineo. Inzaghi è stato screditato in fretta e con superficialità,
come spesso accade nel nostro Paese quando qualcuno decide di intraprendere
strade diverse e quando non si guarda mai
al percorsi fermandosi spesso solo al risultato finale. Ora che ha
firmato con l’Al Hilal, è diventato automaticamente un tecnico “scarso” e
“fallito”.
Lo scatolone di sabbia
Il problema, però, è più ampio. L’Arabia Saudita sta diventando il grande
scatolone di sabbia che inghiottirà molto presto il calcio europeo. Una terra piatta, senza
storia, senza radici, senza una vera e propria cultura sportiva, dove tutto si
basa solo su montagne di soldi, usati
per costruire un campionato finto, fatto di stelle ormai oscurate dal silenzio
dei “petrodollari”. Benzema, Neymar, Kanté, Milinković-Savić, Ronaldo e tanti
altri e adesso, come se non bastasse, anche gli allenatori: tutti spariti dalla
scena internazionale ma soprattutto dal grande calcio europeo dove erano
osannati, oggi come se non fossero mai esistiti.
Simone Inzaghi sta per unirsi a questa grande lista, grazie a 25 milioni di
buoni motivi per farlo. Ma ad ogni modo non è un allenatore a fine carriera o
in là con gli anni ma bensì, un tecnico nel pieno della sua ascesa, che ha
appena disputato una finale europea. Che ha mostrato idee, costruito gioco e
ottenuto anche dei risultati importanti. Eppure, ha scelto di andare nel
deserto. Un gesto che, al netto delle motivazioni economiche, fa male al calcio
soprattutto quello italiano che deve già accontentarsi delle briciole lasciate
dagli altri come Luka Modric a quasi quarant’anni.
Una scelta che divide
Il suo addio divide: delude chi lo seguiva con stima, disorienta chi sperava in
un ciclo lungo all’Inter e lascia la stessa società nerazzurra spiazzata
nonostante i diversi nomi, Chivu, Fabregas, Vieira, che si rincorrono ma che
comunque non sembrano essere alla sua altezza. Ma ciò che colpisce di piu, nel
complesso, è la cattiveria con cui ora viene trattato, come se tutto quello che
fatto in questi anni all’Inter non contasse nulla. È vero: ha vinto solo uno
scudetto su quattro e, forse, con quella rosa avrebbe potuto conquistarne
almeno due in più. Ma è altrettanto vero che ha tenuto l’Inter sempre ai
vertici, non solo in Italia, ma anche in Europa.
Ha gestito momenti difficili, tagli di budget, cessioni dolorose e cambiamenti
societari tumultuosi. Ha raggiunto due finali europee in tre anni. E no, non
credo assolutamente al fatto che negli ultimi mesi "non ci fosse più con
la testa" per via dell'accordo, faraonico, con l’Al Hilal. La squadra ha
semplicemente ceduto, di testa e di gambe, nel momento decisivo. Un crollo
psicologico, quasi inspiegabile e davvero difficile da poter spiegare per una
squadra organizzata ed esperienza come l’Inter.
Il danno allo spettacolo
Il calcio saudita, con le sue offerte-monstre, sta danneggiando lo spettacolo
globale. Le sue competizioni non hanno rilevanza tecnica né culturale. Non producono
storie, né eroi, ne racconti, ne miti, ne leggende. Sono solo contenitori
vuoti, sfarzosi ma privi di pubblico
vero, di vera passione, di rivalità sentite, di sogni e soprattutto speranze. E
chi ne resta ammaliato, paga un prezzo elevato scomparendo quasi dalla scena,
come un campione dimenticato che ha smesso di correre da tempo…
Una fine o un inizio?
Per Inzaghi sarà un nuovo inizio, ricco e forse con meno pressioni. Ma
per il calcio che ama la passione vera, questa è una uscita di scena clamorosa.
Una fine triste, soprattutto per chi è nel pieno della carriera e sceglie comunque
il deserto e l’anonimato solo per il denaro. E quando i media si affrettano a screditare
chi decide di prendere altre strade non mostrando comunque rispetto per le
decisioni altrui, dimostrano soltanto che non siamo pronti ad accettare scelte
diverse senza calpestare la dignità di chi le prende.
Simone Inzaghi non può essere esente da critiche, certo. Ma merita anche
rispetto per il lavoro che ha fatto e per la decisione che ha preso. Il calcio
italiano, ancora una volta, ha preferito buttare tutto nel tritacarne facendo
passare un allenatore competente come un perdente di successo.
E intanto, nel grande “scatolone di sabbia”, un altro protagonista viene inghiottito
dai petrodollari sauditi con buona pace di chi nella sua vita non, forse, non li
vedrà mai.
Ciccio
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