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Simone Inzaghi e l'esilio dorato: "tra applausi, silenzi e ingratitudine"!

  Simone Inzaghi, nel silenzio più totale dopo quattro anni intensi, ha lasciato l’Inter. Lo ha fatto pochi giorni dopo una clamorosa e inspiegabile sconfitta per 5-0 nella finale di Champions League contro il PSG, come se la sua squadra non fosse mai realmente scesa in campo. E questo, dopo aver eliminato in semifinale uno dei Barcellona più forti degli ultimi dieci anni, con una prestazione tatticamente perfetta e con quel pizzico di coraggio e fortuna che nel calcio non guastano mai. Il crollo finale, soprattutto in campionato e inspiegabilmente nella partita più importante dell’anno, è stato fatale, ma anche profondamente amaro. Eppure, i Mass media e parte della tifoseria non hanno avuto nessun dubbo: da allenatore in ascesa del calcio europeo a tecnico sopravvalutato e fortunato, il passaggio è stato fulmineo. Inzaghi è stato screditato in fretta e con superficialità, come spesso accade nel nostro Paese quando qualcuno decide di intraprendere strade diverse e quando non ...

Agostino Di Bartolomei, l'ultimo Capitale Umano!

Nella vita devi farcela, da solo, senza l’aiuto di nessuno!
Charles Bukowski poeta e scrittore statunitense - sosteneva che corriamo come se avessimo il fuoco sotto il sedere in cerca di qualcosa che non si trova o che si fa fatica a trovare. Per quale valido motivo ci ostiniamo a rincorrere l’introvabile che potrebbe, anche, celarsi sotto forma di una chimera? Secondo il poeta statunitense - principalmente - per paura di affrontare sé stessi. Se in questa ricerca introspettiva, di conseguenza, scoprissimo di essere uomini e donne condannati, da sempre, in uno stato di solitudine fisica e/o psicologica? Seguendo l’esempio del sommo poeta - se ci pensate con attenzione - fa più paura “la folla”, con le spietate regole sociali dominanti, che la solitudine stessa. Non ce ne rendiamo conto o più semplicemente, per convenienza, facciamo finta di non capireSe ciò fosse vero, siamo tutti vittime della nostra stessa ignoranza? Volente o nolente - non è questo il punto della questione - facciamo parte di una Comunità d’Impresa. Con essa si stabiliscono ruoli e regole, si assegnano i compiti da svolgere e, infine, si dispongono spazi e arredi per rendere più confortevole l’ambiente che ci circonda. Siamo costretti, ogni giorno, a scacciare la solitudine dalla nostra misera e breve esistenza mortale con un legame d’interdipendenza. Un senso rafforzato del sé, attraverso la condivisione di un interesse, un insieme di problemi o una passione rispetto a una tematica.
Il fine ultimo di questa, fitta, interazione tra individui della stessa specie, discendente da un antenato comune - infine - è quello di costruire un'identità sociale a discapito di quella individuale?  

Agostino Di Bartolomei nasce a Roma l’8 aprile 1955.
Di mestiere è un calciatore professionista; “Diba” non è venuto al mondo per fare l’ingegnere, l’idraulico o il muratore e neppure - con tutto il rispetto per la nobile categoria -  un umile, ma duttile panettiere. Diba” nella quotidianità, fuori dal rettangolo verde di gioco, è un uomo schivo e riservato come tanti altri uomini e donne tra i comuni mortali estranei al mondo platinato e gossipparo del pallone. Il giovane ragazzo romano a quella testa di cuoio con le cuciture dà del tu  - “Come si permetteLei non sa chi sono io!” - senza inutili formalismi che tanto si addicono in una società dominante, cinica e bigotta. Dal saggio barone Nils Liedholm Diba è messo, come centrocampista centrale, davanti alla difesa; Diba per la squadra giallorossa è un faro nella notte che sovrasta la tempesta e non vacilla mai, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio. Il ragazzo è un po’ lento, ma con il tempo si farà nonostante egli abbia una scarsa propensione alla corsa e allo scatto, ma non al sacrificio che è il pane quotidiano per i suoi denti.  Soltanto superando i propri limiti fisici e psichici - per compensazione o semplicemente per istinto di conservazione - gli uomini possono sviluppare nuove e sorprendenti virtù.

“Diba”, infatti, sopperisce alla lentezza con una velocità di pensiero fuori dal comune, qualità che gli consente una perfetta lettura di tutte le fasi di gioco, dalla difesa all’attacco.

Il suo super potere? Elementare WatsonPensare e agire alla velocità della luce; Diba è sempre un passo avanti rispetto agli avversari e i compagni di giocoVi sembra poco? Chiedetelo, per sicurezza, a un “vero” operaio che alle prime ore della sera - prima di coricarsi dopo un pasto fugace, un bicchiere di vino e una doccia calda - di gran lunga preferisce la stanchezza fisica a quella mentale, quest’ultima decisamente più impegnativa della prima.  In 308 presenze con la casacca giallorossa -  di cui 146 con la fascia da capitano sul braccio - Diba segna ben 66 marcature grazie a un tiro potente sia da fuori aria, che su calcio di punizione. Intelligenza alla mercé della potenza; quest’ultima una virtù di necessità utilizzata da rigorista nella squadra giallorossa. Nella Stagione 1982/1983, Diba costituisce con AncelottiProhaska, e Falcão un centrocampo stellare - dotato di piedi buoni - con il quale sarà difficile perdere palloni e quindi faticoso per gli altri recuperarne, così come dichiarato dallo stesso Nils Liedholm. La stagione 1982/1983 si conclude con la conquista del secondo scudetto della storia giallorossa. Tancredi, Nela, Vierchowod, Ancelotti, Falcao, Maldera, Conti, Prohaska, Pruzzo, Di Bartolomei e Iorio costituiscono la formazione titolare della Roma tricolore.   

Dopo il 1983 - all’apice del successo -  Di Bartolomei resterà per sempre nella storia del calcio italiano e di quella giallorossa: “Da centrocampista ebbe una seconda carriera come difensore; Un destino che tocca solo a giocatori di costruzione, con un grande senso del gioco collettivo. Come Beckenbauer, come Scirea che mi viene automatico accostare ad Agostino per i silenzi e per la stessa visione di un calcio semplice, pulito (cit. Gianni Mura)”.

Nel 1990 - dopo 547 presenze e 108 marcature - Di Bartolomei si ritira dal calcio giocato.
Quattro anni dopo, la mattina del 30 Maggio 1994 fu rinvenuto - nei pressi della sua abitazione, a Castellabate lontano dalla Capitale - il corpo, senza vita, dell’ex capitano nonché bandiera, gloriosa, giallorossa.
​​​​“Mi sento chiuso in un buco”, saranno le ultime parole, piene di un amaro significato, lasciate dell’ex capitano della Roma.

All’epoca avevo 17 anni, Agostino soltanto 39. Da quella tragedia - vola il tempo - sono passati, ben, 28 anni.

Mi domando a distanza di anni dalla morte del  grande capitano giallorosso: “Fa più paura la folla con le spietate regole sociali dominanti o la solitudine?”.

Elementare WatsonPensare e agire alla velocità della luce; Diba era sempre un passo avanti rispetto agli avversari e i compagni di gioco.

Arsenico17

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