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Simone Inzaghi e l'esilio dorato: "tra applausi, silenzi e ingratitudine"!

  Simone Inzaghi, nel silenzio più totale dopo quattro anni intensi, ha lasciato l’Inter. Lo ha fatto pochi giorni dopo una clamorosa e inspiegabile sconfitta per 5-0 nella finale di Champions League contro il PSG, come se la sua squadra non fosse mai realmente scesa in campo. E questo, dopo aver eliminato in semifinale uno dei Barcellona più forti degli ultimi dieci anni, con una prestazione tatticamente perfetta e con quel pizzico di coraggio e fortuna che nel calcio non guastano mai. Il crollo finale, soprattutto in campionato e inspiegabilmente nella partita più importante dell’anno, è stato fatale, ma anche profondamente amaro. Eppure, i Mass media e parte della tifoseria non hanno avuto nessun dubbo: da allenatore in ascesa del calcio europeo a tecnico sopravvalutato e fortunato, il passaggio è stato fulmineo. Inzaghi è stato screditato in fretta e con superficialità, come spesso accade nel nostro Paese quando qualcuno decide di intraprendere strade diverse e quando non ...

La Storia dei grandi capitani della Roma



La storia calcistica dell’Associazione Sportiva Roma è ricca di grandi capitani al capezzale della Lupa. È una lunga tradizione, da una generazione all’altra, di giovani calciatori romani.

Nel carrello della spesa dei leggendari capitani giallorossi si elencano uomini che hanno fatto la storia del calcio italiano e mondiale:

DIBA

Agostino Di Bartolomei detto Diba o Ago per la curva Sud. Nato a Roma, il 1955. Diba costituiva con Ancelotti, Prohaska, e Falcão una diga di centrocampo difficilmente superabile - dotata di piedi buoni e dei migliori cervelli in circolazione sul mercato di allora - nella quale risultava difficile perdere palloni, nonché faticoso per gli altri recuperarne, così come scritto nel libro maestro del Barone Nils Liedholm.
La stagione 1982/1983 si concluse con la conquista del secondo scudetto della storia giallorossa.
Tancredi, Nela, Vierchowod, Ancelotti, Falcao, Maldera, Conti, Prohaska, Pruzzo, Di Bartolomei e Iorio costituivano la formazione titolare della Roma tricolore.
Esistono i tifosi di calcio, e poi esistono i tifosi della Roma”.

Il MARADONA ITALIANO

Bruno Conti detto  Marazico per il suo fisico gracilino. Nato a Nettuno nel 1955, pochi chilometri da Roma, ma lo considero a tutti gli effetti un romano d’adozione. Non facciamo scherzi perché nun c'è trippa pe' gatti.
Uno dei centrocampisti offensivi più forti della storia del calcio italiano e mondiale. Un’ala destra di vecchio stile in grado di saltare l’uomo e crossare in area di rigore per il compagno smarcato in cerca di un goal d’autore. Un calciatore con caratteristiche tecniche e tattiche come non esistono più in circolazione. Dopo Marazico, Luís Figo è stata l’ultima ala destra del calcio mondiale. Si racconta che Diego Armando Maradona propose a Bruno Conti - durante un match di campionato contro la Roma - di andare a giocare per il Napoli. La risposta? Bruno Conti, bandiera della Roma, rifiutò l’offerta informale del più grande calciatore di tutti i tempi. Che attacco stellare sarebbe stato quello con Careca, Maradona e Bruno Conti? Non pensiamoci su più di tanto, ma resta un grande rimpianto per non averli mai visti giocare con la stessa maglia. Mamma mia come soffro di nostalgia in questo periodo. È tutta colpa della Nazionale di Roberto Mancini? Per non pensarci - potremmo aggravare la nostra salute fisica e mentale - godiamoci la formazione titolare dell’Italia campione del Mondo ’82:
Zoff, Bergomi, Cabrini, Gentile, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Oriali, Graziani.
Commissario tecnico, Enzo Bearzot. 
Campioni del Mondo sotto gli occhi al color di luna di Sandro Pertinil’ultimo vero Presidente della Repubblica Italiana.

L’ÉTOILE DELL’OLIMPICO

Giuseppe Giannini soprannominato il Principe per la sua grande eleganza nel gioco del palloneNato a Roma, il 1964. Il Principe è stato un calciatore fantastico, il mio capitano durante il periodo dell’adolescenza, uno tra i calciatori italiani più forti della sua epoca calcistica. 
Azeglio Vicini, un vero signore di eleganza e uomo d’altri tempi - ex tecnico della Nazionale Italiana - stravedeva per lui tanto da consegnargli le chiavi del centrocampo di una delle Nazionali più forti di tutti i tempi:
Zenga, Bergomi, Maldini, Ferri, Franco Baresi, De Napoli, Berti, Giannini, Donadoni, Schillaci e Vialli.
In panchina, pronti e via: il bomber Andrea Carnevale, Roberto Mancini (l’altro gemello del goal della Sampdoria dei miracoli) e un certo Roberto Baggio, il Divin Codino.  
In Nazionale, oggi, abbiamo Domenico Berardi titolare e Matteo Politano in panchina.
Come siamo finiti così in basso? Facciamo subito un test intolleranza al calcio agli azzurri di Roberto Mancini. Pago tutto io e non bado a spese perché gli azzurri ci hanno condannato all’infelicità calcistica per otto e lunghi anni. Due Mondiali di seguito a casa, svaccati sul divano e senza più un passato calcistico da raccontare ai nostri figli e nipoti. Che tristezza! Giuseppe Giannini aveva un corpo perfetto. Era bello, bellissimo, a vedersi sul rettangolo verde di gioco; il suo corpo sembrava fatto di cera e di pongo.
Grande tecnica individuale, dotato di un cross millimetrico a lunga gittata, stop della palla sensazionale ed eccellente visione di gioco. Un discreto finalizzatore e un’eccellente assist man. Opera d'arte visiva bidimensionale, un affresco di Raffaello che si colloca nel periodo storico compreso tra i primi anni ‘80 e la fine di quelli ‘90.

Giuseppe Giannini è stato per un decennio il primo ballerino dell’Olimpico: l’Étoile di Roma.  

Un ingrato Franco Sensi - quella buonanima scudettata del grande e indimenticato Presidente giallorosso - mise ingiustamente una croce sopra sul forte trequartista romano che avrebbe meritato di concludere la sua carriera con i colori della sua città. Purtroppo, il troppo amore è capace anche di uccidere quello che si è amato fino alla follia. 
Durante l’addio di Giuseppe Giannini alla sua amata Roma è possibile rinvenire sul web filmati ove si incontrano tre generazioni di calciatori romani: Bruno Conti, Giuseppe Giannini e un giovanissimo Francesco Totti. Meglio cambiare discorso perché i ricordi si fanno pesanti, il respiro corto e affannoso e le mani sudate come i piedi. Tutto così malinconico tanto da essere sopraffatto da cattivi pensieri. Mi passa tutta la vita davanti gli occhi. E questo il famoso tunnel di luce? Ma non era di colore bianco e nero? Questo è giallorosso! Mi do un pizzicotto sulle guance, per fortuna, sono ancora vivo e vegeto. Però, muoio dentro. Perché si può morire anche di nostalgia. È un dolore lento, silenzioso e straziante. Non c’è banda del Paese a ricordarti che sei morto di nostalgia per l’addio doloroso di Giuseppe Giannini alla Roma.
Commovente, a dir poco, è stato l’addio alla maglia giallorossa del Principe. Quest’ultimo appariva alla stregua di un salice piangente tra le braccia forti di  un giovane Totti e il vecchio, Bruno Conti.  
Capitani amati, venerati, ma talvolta odiati o mal sopportati dalla propria tifoseria o dagli stessi addetti ai lavori.
L’esempio più lapalissiano - durante la gloriosa storia giallorossa - è quello di Giuseppe Giannini, detto il Principe. Il Principe Povero della Capitale d’Italia.

IL CAPITANO

Francesco Totti detto Er Pupone in modo affettuoso dai propri tifosiUn soprannome poco gradito dallo stesso Totti. Tanto era l’affetto dei tifosi romani, da vedere Er Pupone alla stregua di un moderno Peter Pan.
Ogni volta che un tifoso o un addetto ai lavori dice: ‘Totti si è ritirato dal calcio giocato, c’è un tifoso della Roma che da qualche parte spera de morì prima…”.
Perché Francesco Totti, grazie al suo immenso talento al gioco del calcio, era capace, come pochi altri calciatori al mondo, di portarti fino alla seconda stella a destra e poi dritto al mattino che si vestiva sempre dei colori del sole.  
Oggettivamente, uno dei calciatori italiani più forti di tutti i tempi. Rivera, Riva, Baggio, Mazzola e Totti.

Dotato di una grande tecnica individuale e di un fisico bestiale che gli consentiva di fare fuoco e fiamme con la maglia della Magica. Chiedete a un giovane e inesperto Mimmo Criscito, al quale ha rovinato per sempre la carriera da terzino alla Juventus. Totti è stato un fenomeno mondiale al pari di Zidane, Ronaldo, Ronaldinho, Shevchenko, Figo e Omar Batistuta. Gli è mancato soltanto il pallone d’oro - che avrebbe meritato se non avesse avuto la lesione parziale del legamento crociato anteriore del ginocchio destro a condizionare la sua carriera agonistica - per certificare la sua infinita grandezza a livello planetario.
Dopo l’addio di Zidane al Real Madrid, Arrigo Sacchi - direttore sportivo del club spagnolo - gli offrì un contratto milionario con il Real Madrid. Francesco Totti rigettò a malincuore - con una cartolina di saluti raffigurante la città eterna - l’offerta al mittente perché non aveva nessuna intenzione di muoversi dalla sua Roma.
Con il senno di poi, una domanda appare lecita e scontata per capire il livello assoluto dell’uomo e del fuoriclasse: cosa avrebbe vinto Francesco Totti con la maglia del Real Madrid? Non è dato saperlo con precisione certosina, ma certamente di più dell’attuale palmares; poco importa perché un campione resta tale, indipendentemente dai titoli messi in bacheca.
Con la Roma ha vinto 2 Supercoppe italiane, 2 Coppe Italia e un campionato italiano nella stagione 2000-2001. A questo punto, che dite? Oggi ho il calcio in vena. Non la vogliamo ricordare la formazione titolare della Roma scudettata?
Allenatore: Fabio Capello.
Formazione titolare: Antonioli, Samuel, Zago, Zebina, Cafu, Candela, Zanetti (Emerson), Tommasi (Nakata), Totti, Del Vecchio e Batistuta (Montella).

CAPITAN FUTURO

Roma,1976. Daniele De Rossi chiamato Capitan Futuro perché eterno e incompiuto capitano della squadra giallorossaNato a Roma, il 1983. Centrocampista di fama mondiale, appena sotto il livello tecnico e tattico di Steven George Gerrard e Frank Lampard.
Detto questo, De Rossi merita lo stesso rispetto dei campioni inglesi sopracitati, perché stiamo parlando, sempre, di un Campione del Mondo con la Nazionale di Marcello Lippi. Dopo Francesco Totti - l’ultimo vero capitano della Roma - la tradizione dei capitani giallorossi sembrerebbe si sia un po' persa nella notte dei tempi. Difatti, durante la lunga militanza giallorossa, De Rossi è stato più un capitano morale che uno formale.
Il classico uomo spogliatoio. Il forte centrocampista giallorosso, pur volendo, non avrebbe potuto fare di più; Daniele è vissuto sotto l’ombra di colui che, Francesco Totti, i tifosi hanno eletto per anni come l’unico ed effettivo leader indiscusso: “Un Capitano. Un Capitano. Francesco Totti, un capitano”. 
Daniele finirà la sua onorata carriera lontano da Roma, lontano dal cuore

SPIZZI

Alessandro Florenzi detto Spizzi. Forse, perché “spizza” via alla stessa velocità di Speedy Gonzales dal club di appartenenza, dopo appena una stagione?

Spizzi, se ha marchado para no volver el tren de la mañana llega ya sin él es solo un corazón con alma de metal en esa niebla gris que envuelve la ciudad.

Nato a Roma nel 1991, Florenzi non ha lasciato il segno con la maglia della Magica. Eccezion fatta per una voce di bilancio: quella degli ingaggi.  
Alessandro non è mai entrato nel cuore dei tifosi giallorossi. Un amore mai sbocciato tra la tifoseria più appassionata d’Italia e il cocco di nonna più affettuoso d’Italia. Troppo limitato tecnicamente il modestissimo terzino sinistro italiano. Un buon carattere, uomo spogliatoio per il Milan scudettato, ma lo hanno anche alcuni cavalli e tutto ciò non basta per fare il capitano della Roma. Eppure, Spizzi nasce come esterno d’attacco per poi passare in difesa come terzino destro. Pensavo, quando vestiva di giallorosso, avesse potuto ripercorrere la carriera sportiva di Gianluca Zambrotta, ma non è paragonabile alla bravura dell’ex terzino di Juventus e Barcellona.  All’età di 31 anni, Florenzi resta un calciatore incompiuto in cerca di un ruolo e di un club nel quale essere apprezzato come calciatore.  Una carriera passata a capire in quale ruolo giocare: Terzino o Ala? Questo è il dilemma, ma a questo punto meglio la panchina perché la vita non può essere raccontata sempre come una tragedia.  
Ad oggi è ben voluto soltanto dai broker finanziari e i direttori di banca grazie al suo conto in banca milionario. Spizzi se n’è andato via dalla Roma e non ritornerà mai più a vestire i colori della sua città natale. È “spizzato” via per sempre. Pace alla maglietta sua.

MONTELLINO

Infine, Lorenzo Pellegrini detto Montellino perché nelle giovanili della Roma, ad ogni marcatura siglata, esultava come l’ex attaccante giallorosso e della Nazionale Italiana. Classe 1996, anche lui nato all’ombra del Colosseo.
Da adolescente ha avuto seri problemi di salute, soffriva di un’aritmia cardiaca che ne aveva compromesso il futuro calcistico.
Lorenzo Pellegrini nella sua carriera, tra le giovanili della Roma, il Sassuolo e il ritorno a casa, ha dimostrato di poter giocare in diversi ruoli del centrocampo - mediano, mezzala e trequartista - e persino nella parte più avanzata del campo. È un talento cristallino, fortissimo nelle punizioni, abile sia nella fase difensiva che in quella di attacco. Lorenzo Pellegrini ha ottimi tempi di inserimento ed eccede dal tiro dalla distanza, ma a oggi è un talento, ancora, incompiuto con potenzialità inespresse.
Lorenzo Pellegrini è come la vibrazione di una corda di chitarra che spesso va accordata durante i novanti minuti di gioco.
Rispetto ai suoi illustri predecessori, egli è un capitano atipico. È un Capitano silenzioso, poco appariscente che sembrerebbe non rappresentare i tratti somatici, quelli caratteriali e culturali del popolo romano. Per certi versi Lorenzo Pellegrini mi ricorda un dipinto di Jan Vermeer che chiameremo all’occorrenza: Lorenzo come la vibrazione di una corda di chitarra scordata.  
Agostino, Bruno, Giuseppe, Francesco, Alessandro e Lorenzo sei uomini eccezionali, in epoche calcistiche diverse, uniti dallo stesso destino: quello da capitano della squadra più “magica” del campionato italiano.
Di Bartolomei, Conti, Giannini, Totti, Florenzi e Pellegrini sei uomini valorosi, nonché capitani dell’Associazione Sportiva Roma, che hanno fatto parte della mia vita fino ad oggi: Dall’età passata dell’incoscienza a quella dell’imperfezione, in cui si sorrideva senza una ragione, fino all’età del perdono dove la vita stessa, talvolta, si presenta come la vibrazione di una chitarra scordata

Lorenzo Pellegrini è il mio Capitano... oggi che vengo mangiato dai vermi e molto probabilmente toccherò nuovamente il fondo, scapperò via, perché questa è l’età del perdono….tutto il resto è un tunnel in baco e nero.

Arsenico17



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