“Io senza calcio non sto bene. Fosse per me arriverei a morire in tuta, a novant'anni, all'aria aperta, a insegnare pallone a qualche ragazzo che avesse ancora voglia di starmi a sentire”. [Zdnek Zeman]
Simone Inzaghi, nel silenzio più totale dopo quattro anni intensi, ha lasciato l’Inter. Lo ha fatto pochi giorni dopo una clamorosa e inspiegabile sconfitta per 5-0 nella finale di Champions League contro il PSG, come se la sua squadra non fosse mai realmente scesa in campo. E questo, dopo aver eliminato in semifinale uno dei Barcellona più forti degli ultimi dieci anni, con una prestazione tatticamente perfetta e con quel pizzico di coraggio e fortuna che nel calcio non guastano mai. Il crollo finale, soprattutto in campionato e inspiegabilmente nella partita più importante dell’anno, è stato fatale, ma anche profondamente amaro. Eppure, i Mass media e parte della tifoseria non hanno avuto nessun dubbo: da allenatore in ascesa del calcio europeo a tecnico sopravvalutato e fortunato, il passaggio è stato fulmineo. Inzaghi è stato screditato in fretta e con superficialità, come spesso accade nel nostro Paese quando qualcuno decide di intraprendere strade diverse e quando non ...
La storia calcistica dell’Associazione Sportiva Roma è
ricca di grandi capitani al capezzale della Lupa. È una lunga tradizione, da
una generazione all’altra, di giovani calciatori romani.
Nel carrello della spesa dei leggendari capitani giallorossi si elencano uomini
che hanno fatto la storia del calcio italiano e mondiale:
DIBA
Agostino Di Bartolomei detto Diba o Ago per la curva Sud. Nato a
Roma, il 1955. Diba costituiva con Ancelotti, Prohaska, e Falcão una diga di
centrocampo difficilmente superabile - dotata di piedi buoni e dei migliori
cervelli in circolazione sul mercato di allora - nella quale risultava
difficile perdere palloni, nonché faticoso per gli altri recuperarne, così come
scritto nel libro maestro del Barone Nils Liedholm.
La stagione 1982/1983 si concluse con la conquista del secondo scudetto della
storia giallorossa.
Tancredi, Nela, Vierchowod, Ancelotti, Falcao, Maldera, Conti, Prohaska,
Pruzzo, Di Bartolomei e Iorio costituivano la formazione titolare della Roma
tricolore.
“Esistono i tifosi di calcio, e poi esistono i tifosi della Roma”.
Il MARADONA ITALIANO
Bruno Conti detto Marazico per il suo fisico
gracilino. Nato a Nettuno nel 1955, pochi chilometri da Roma, ma lo considero a
tutti gli effetti un romano d’adozione. Non facciamo scherzi perché nun
c'è trippa pe' gatti.
Uno dei centrocampisti offensivi più forti della storia del calcio italiano e
mondiale. Un’ala destra di vecchio stile in grado di saltare l’uomo e crossare
in area di rigore per il compagno smarcato in cerca di un goal d’autore. Un
calciatore con caratteristiche tecniche e tattiche come non esistono più in
circolazione. Dopo Marazico, Luís Figo è stata l’ultima ala destra del
calcio mondiale. Si racconta che Diego Armando Maradona propose a
Bruno Conti - durante un match di campionato contro la Roma - di andare a
giocare per il Napoli. La risposta? Bruno Conti, bandiera della Roma, rifiutò
l’offerta informale del più grande calciatore di tutti i tempi. Che
attacco stellare sarebbe stato quello con Careca, Maradona e Bruno Conti? Non
pensiamoci su più di tanto, ma resta un grande rimpianto per non averli mai
visti giocare con la stessa maglia. Mamma mia come soffro di nostalgia in
questo periodo. È tutta colpa della Nazionale di Roberto Mancini? Per
non pensarci - potremmo aggravare la nostra salute fisica e mentale - godiamoci
la formazione titolare dell’Italia campione del Mondo ’82:
Campioni del Mondo sotto gli occhi al color di luna di Sandro Pertini, l’ultimo
vero Presidente della Repubblica Italiana.
L’ÉTOILE DELL’OLIMPICO
Giuseppe Giannini soprannominato il
Principe per la sua grande eleganza nel gioco del pallone. Nato aRoma,
il 1964. Il Principe è stato un calciatore fantastico, il mio capitano durante
il periodo dell’adolescenza, uno tra i calciatori italiani più forti della sua
epoca calcistica.
Azeglio Vicini, un vero signore di eleganza e uomo d’altri tempi - ex tecnico
della Nazionale Italiana - stravedeva per lui tanto da consegnargli le chiavi
del centrocampo di una delle Nazionali più forti di tutti i tempi:
Zenga, Bergomi, Maldini, Ferri, Franco Baresi, De Napoli, Berti, Giannini,
Donadoni, Schillaci e Vialli.
In panchina, pronti e via: il bomber Andrea Carnevale, Roberto Mancini (l’altro
gemello del goal della Sampdoria dei miracoli) e un certo Roberto Baggio, il
Divin Codino.
In Nazionale, oggi, abbiamo Domenico Berardi titolare e Matteo Politano in
panchina.
Come siamo finiti così in basso? Facciamo subito un test intolleranza al
calcio agli azzurri di Roberto Mancini. Pago tutto io e non bado a spese perché
gli azzurri ci hanno condannato all’infelicità calcistica per otto e lunghi
anni. Due Mondiali di seguito a casa, svaccati sul divano e senza più un
passato calcistico da raccontare ai nostri figli e nipoti. Che tristezza! Giuseppe
Giannini aveva un corpo perfetto. Era bello, bellissimo, a vedersi sul
rettangolo verde di gioco; il suo corpo sembrava fatto di cera e di pongo.
Grande tecnica individuale, dotato di un cross millimetrico a lunga gittata,
stop della palla sensazionale ed eccellente visione di gioco. Un discreto
finalizzatore e un’eccellente assist man. Opera d'arte visiva bidimensionale,
un affresco di Raffaello che si colloca nel periodo storico compreso tra i
primi anni ‘80 e la fine di quelli ‘90.
Giuseppe Giannini è stato per un
decennio il primo ballerino dell’Olimpico: l’Étoile di Roma.
Un ingrato Franco Sensi - quella
buonanima scudettata del grande e indimenticato Presidente giallorosso - mise
ingiustamente una croce sopra sul forte trequartista romano che avrebbe
meritato di concludere la sua carriera con i colori della sua città. Purtroppo,
il troppo amore è capace anche di uccidere quello che si è amato fino alla
follia.
Durante l’addio di Giuseppe Giannini alla sua amata Roma è possibile rinvenire sul
web filmati ove si incontrano tre generazioni di calciatori romani: Bruno
Conti, Giuseppe Giannini e un giovanissimo Francesco Totti. Meglio cambiare
discorso perché i ricordi si fanno pesanti, il respiro corto e affannoso e le
mani sudate come i piedi. Tutto così malinconico tanto da essere sopraffatto da
cattivi pensieri. Mi passa tutta la vita davanti gli occhi. E questo il famoso
tunnel di luce? Ma non era di colore bianco e nero? Questo è giallorosso! Mi do
un pizzicotto sulle guance, per fortuna, sono ancora vivo e vegeto. Però, muoio
dentro. Perché si può morire anche di nostalgia. È un dolore lento, silenzioso
e straziante. Non c’è banda del Paese a ricordarti che sei morto di
nostalgia per l’addio doloroso di Giuseppe Giannini alla Roma.
Commovente, a dir poco, è stato l’addio alla maglia giallorossa del
Principe. Quest’ultimo appariva alla stregua di un salice piangente tra
le braccia forti di un giovane Totti e il
vecchio, Bruno Conti.
Capitani amati, venerati, ma talvolta odiati o mal sopportati dalla propria
tifoseria o dagli stessi addetti ai lavori.
L’esempio più lapalissiano - durante la gloriosa storia giallorossa - è quello
di Giuseppe Giannini, detto il Principe. Il Principe Povero della
Capitale d’Italia.
IL CAPITANO
Francesco Totti detto Er Pupone in modo
affettuoso dai propri tifosi. Un soprannome poco gradito dallo
stesso Totti. Tanto era l’affetto dei tifosi romani, da vedere Er
Pupone alla stregua di un moderno Peter Pan.
“Ogni volta che un tifoso o un addetto ai lavori dice: ‘Totti si è ritirato
dal calcio giocato, c’è un tifoso della Roma che da qualche parte spera de morì
prima…”.
Perché Francesco Totti, grazie al suo immenso talento al gioco del calcio,
era capace, come pochi altri calciatori al mondo, di portarti fino alla seconda
stella a destra e poi dritto al mattino che si vestiva sempre dei colori del
sole.
Oggettivamente, uno dei calciatori italiani più forti di tutti i tempi. Rivera,
Riva, Baggio, Mazzola e Totti.
Dotato di una grande tecnica individuale e di un fisico bestiale che gli
consentiva di fare fuoco e fiamme con la maglia della Magica. Chiedete a un
giovane e inesperto Mimmo Criscito, al quale ha rovinato per sempre la carriera
da terzino alla Juventus. Totti è stato un fenomeno mondiale al pari di Zidane,
Ronaldo, Ronaldinho, Shevchenko, Figo e Omar Batistuta. Gli è mancato
soltanto il pallone d’oro - che avrebbe meritato se non avesse avuto la
lesione parziale del legamento crociato anteriore del ginocchio destro a condizionare
la sua carriera agonistica - per certificare la sua infinita grandezza
a livello planetario.
Dopo l’addio di Zidane al Real Madrid, Arrigo Sacchi - direttore sportivo del
club spagnolo - gli offrì un contratto milionario con il Real Madrid. Francesco
Totti rigettò a malincuore - con una cartolina di saluti raffigurante la città
eterna - l’offerta al mittente perché non aveva nessuna intenzione di muoversi
dalla sua Roma.
Con il senno di poi, una domanda appare lecita e scontata per capire il livello
assoluto dell’uomo e del fuoriclasse: cosa avrebbe vinto Francesco Totti con
la maglia del Real Madrid? Non è dato saperlo con precisione
certosina, ma certamente di più dell’attuale palmares; poco importa perché un
campione resta tale, indipendentemente dai titoli messi in bacheca.
Con la Roma ha vinto 2 Supercoppe italiane, 2 Coppe Italia e un campionato
italiano nella stagione 2000-2001. A questo punto, che dite? Oggi ho il calcio
in vena. Non la vogliamo ricordare la formazione titolare della Roma
scudettata?
Allenatore: Fabio Capello.
Formazione titolare: Antonioli, Samuel, Zago, Zebina, Cafu, Candela, Zanetti
(Emerson), Tommasi (Nakata), Totti, Del Vecchio e Batistuta (Montella).
CAPITAN FUTURO
Roma,1976. Daniele De Rossi chiamato Capitan Futuro perché
eterno e incompiuto capitano della squadra giallorossa. Nato aRoma,
il 1983. Centrocampista di fama mondiale, appena sotto il livello tecnico e
tattico di Steven George Gerrard e Frank Lampard.
Detto questo, De Rossi merita lo stesso rispetto dei campioni inglesi
sopracitati, perché stiamo parlando, sempre, di un Campione del Mondo con la
Nazionale di Marcello Lippi. Dopo Francesco Totti - l’ultimo vero capitano
della Roma - la tradizione dei capitani giallorossi sembrerebbe si sia un po'
persa nella notte dei tempi. Difatti, durante la lunga militanza
giallorossa, De Rossi è stato più un capitano morale che uno formale.
Il classico uomo spogliatoio. Il forte centrocampista giallorosso,
pur volendo, non avrebbe potuto fare di più; Daniele è vissuto sotto l’ombra di
colui che, Francesco Totti, i tifosi hanno eletto per anni come l’unico ed
effettivo leader indiscusso: “Un Capitano. Un Capitano. Francesco Totti, un
capitano”.
Daniele finirà la sua onorata carriera lontano da Roma, lontano dal cuore.
SPIZZI
Alessandro Florenzi detto Spizzi. Forse, perché
“spizza” via alla stessa velocità di Speedy Gonzales dal club di appartenenza,
dopo appena una stagione?
Spizzi, se ha marchado para no volver el tren de la
mañana llega ya sin él es solo un corazón con alma de metal en esa niebla gris
que envuelve la ciudad.
Nato a Roma nel 1991, Florenzi non ha lasciato il segno con la maglia della
Magica. Eccezion fatta per una voce di bilancio: quella degli ingaggi.
Alessandro non è mai entrato nel cuore dei tifosi giallorossi. Un amore
mai sbocciato tra la tifoseria più appassionata d’Italia e il cocco di nonna
più affettuoso d’Italia. Troppo limitato tecnicamente il modestissimo terzino
sinistro italiano. Un buon carattere, uomo spogliatoio per il Milan scudettato,
ma lo hanno anche alcuni cavalli e tutto ciò non basta per fare il capitano
della Roma. Eppure, Spizzi nasce come esterno d’attacco per poi passare in
difesa come terzino destro. Pensavo, quando vestiva di giallorosso, avesse
potuto ripercorrere la carriera sportiva di Gianluca Zambrotta, ma non è
paragonabile alla bravura dell’ex terzino di Juventus e Barcellona.
All’età di 31 anni, Florenzi resta un calciatore incompiuto in cerca di un ruolo
e di un club nel quale essere apprezzato come calciatore. Una carriera
passata a capire in quale ruolo giocare: Terzino o Ala? Questo è il dilemma, ma
a questo punto meglio la panchina perché la vita non può essere raccontata sempre come una tragedia.
Ad oggi è ben voluto soltanto dai broker finanziari e i direttori di banca
grazie al suo conto in banca milionario. Spizzi se n’è andato via dalla
Roma e non ritornerà mai più a vestire i colori della sua città natale. È
“spizzato” via per sempre. Pace alla maglietta sua.
MONTELLINO
Infine, Lorenzo Pellegrini detto Montellino perché nelle
giovanili della Roma, ad ogni marcatura siglata, esultava come l’ex attaccante
giallorosso e della Nazionale Italiana. Classe 1996, anche lui nato all’ombra
del Colosseo.
Da adolescente ha avuto seri problemi di salute, soffriva di un’aritmia
cardiaca che ne aveva compromesso il futuro calcistico.
Lorenzo Pellegrini nella sua carriera, tra le giovanili della Roma, il Sassuolo
e il ritorno a casa, ha dimostrato di poter giocare in diversi ruoli del
centrocampo - mediano, mezzala e trequartista - e persino nella parte più
avanzata del campo. È un talento cristallino, fortissimo nelle punizioni, abile
sia nella fase difensiva che in quella di attacco. Lorenzo Pellegrini ha ottimi
tempi di inserimento ed eccede dal tiro dalla distanza, ma a oggi è un talento,
ancora, incompiuto con potenzialità inespresse.
Lorenzo Pellegrini è come la vibrazione di una corda di chitarra che spesso
va accordata durante i novanti minuti di gioco.
Rispetto ai suoi illustri predecessori, egli è un capitano atipico. È un
Capitano silenzioso, poco appariscente che sembrerebbe non rappresentare i
tratti somatici, quelli caratteriali e culturali del popolo romano. Per certi
versi Lorenzo Pellegrini mi ricorda un dipinto di Jan Vermeer che chiameremo
all’occorrenza: Lorenzo come la vibrazione di una corda di chitarra scordata.
Agostino, Bruno, Giuseppe, Francesco, Alessandro e Lorenzo sei uomini
eccezionali, in epoche calcistiche diverse, uniti dallo stesso destino: quello
da capitano della squadra più “magica” del campionato italiano.
Di Bartolomei, Conti, Giannini, Totti, Florenzi e Pellegrini sei uomini
valorosi, nonché capitani dell’Associazione Sportiva Roma, che hanno fatto
parte della mia vita fino ad oggi: Dall’età passata dell’incoscienza a
quella dell’imperfezione, in cui si sorrideva senza una ragione, fino all’età
del perdono dove la vita stessa, talvolta, si presenta come la vibrazione di
una chitarra scordata
Lorenzo Pellegrini è il mio
Capitano... oggi che vengo mangiato dai vermi e
molto probabilmente toccherò nuovamente il fondo, scapperò via, perché questa è
l’età del perdono….tutto il resto è un tunnel in bacoe nero.
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