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“Io senza calcio non sto bene. Fosse per me arriverei a morire in tuta, a novant'anni, all'aria aperta, a insegnare pallone a qualche ragazzo che avesse ancora voglia di starmi a sentire”. [Zdnek Zeman]
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C'era una volta Roberto Baggio in arte il Divin Codino.
Due campionati italiani, una Coppa Italia, una Coppa Uefa, un Pallone d’oro e importanti riconoscimenti individuali all’attivo per uno dei calciatori italiani più forti di tutti i tempi. Mi riferisco a un grande campione, uno dei calciatori più forti al mondo.
Baggio nasce a Caldogno (VI) il 18 febbraio 1967. Sono passati ben 54 anni da allora. Una vita fa. C’era una volta Roberto Baggio. Raramente nella vita un nome e un cognome si sono fusi in un unicum così pregiato, virtuoso, mistico e immortale. La magia del calcio perché non esisterebbe Baggio senza Roberto e viceversa.
Poi a quei tempi c’erano altri tipi di Baggio, tutti made in Italy. Ce n’era uno che si chiamava Dino che non era niente male, ma niente di eccezionale. Di ruolo faceva il centrocampista tutto tondo. Un uomo nato per spaccare la legna, tanta, per i compagni di squadra. Ma il buon Dino non aveva nulla a che fare con quello vero: Roberto Baggio, Roby, Baggio o il Divin Codino.
Il giovane Roberto, prima di diventare Roberto Baggio, iniziò a prendere a calci il pallone nel Vicenza in serie C.
Con quella maglia cucita sulla pelle dal miglior sarto veneto in circolazione – indossata anni addietro dal bomber Paolo Rossi, il campione del mondo ’82 – il ragazzo non tradirà le aspettative dei concittadini.
E’ troppo talentuoso quel ragazzo, con il numero dieci marchiato a fuoco dal destino come i più grandi trequartisti sulla faccia del calcio, per perdersi in un caffè corretto alla grappa in una cittadina di provincia con appena 10 mila abitanti. Infatti, a soltanto 20 anni, nel pieno della migliore gioventù, il ragazzetto trascinerà il club veneto a una miracolosa promozione in serie B. Ben 12 marcature all’attivo e tutte di pregevole fattura. Il ragazzo veneto ha classe da vendere, un talento cristallino ricevuto direttamente dal Dio del calcio e, in allestimento, di base un cervello fino come quello di un contadino, anzi di più con tutto il rispetto per la nobile categoria. Classe 1967, Roberto Baggio è l’astro nascente del calcio italiano e di quello mondiale.
Ben presto sul forte trequartista, avvistata la preda, poseranno gli occhi i maggiori top club italiani. Ma il destino, ahimè, talvolta può essere crudele e la ruota, prima o poi, gira in un verso o in un altro. Roberto Baggio si rompe il crociato anteriore del ginocchio destro. Una sentenza durissima, crudele e vigliacca per un ragazzo appena ventenne che si affaccia capezzale della vita; La carriera del ragazzo è a forte rischio; Roberto è stato messo a tappeto dal destino con un gancio violentissimo in pieno volto. Era giunta l'ora di attaccare gli scarpini al chiodo perché la delusione può essere un avversario ancora più temibile del dolore fisico.
Per fortuna non la pensò così la Fiorentina. Il Presidente gigliato crederà soprattutto nell’uomo e poi nel calciatore. Pier Cesare Baretti non si sbagliava affatto, vecchio saggio qual era, nonostante Roberto non era ancora diventato Roberto Baggio: il Divin Codino.
Roberto Baggio inizia la riabilitazione che durerà ben due lunghissimi e interminabili anni. Quel dolore fisico – a volte così insopportabile da spezzare il fiato durante i novanti minuti di gioco e oltre i tempi regolamentari – se lo porterà in quelle ginocchia fragili per tutta la sua lunga e gloriosa carriera.
Perché il dolore, in fondo in fondo, ci ricorderà chi siamo. Perché alla fine il dolore, in fondo in fondo, ci ricorderà chi abbiamo amato.
Ed sarà allora, soltanto allora, che ci trasformeremo in bestie crudeli e in animali solitari affamati di vita alla riconquista di tutto quello che ci è stato sottratto ingiustamente dal verso cinico di quella ruota maledetta.
Pochi anni dopo il terribile infortunio, Roberto Baggio esordirà in Serie A con la gloriosa casacca della Fiorentina.
17/09/1989 – STADIO SAN PAOLO DI NAPOLI
Il numero 10, quello mitico di Maradona e Platini, cucito sulle spalle strette di un ragazzotto veneto appena ventenne. I calzettoni bianchi due dita, forse tre, sotto quelle fragili ginocchia. Nell’animo il peso di un calvario scampato che purtroppo si ripresenterà in futuro come il più crudele gioco del destino; il fisico segnato da due profonde cicatrici appena sopra quelle ginocchia così fragili. I capelli raccolti in un codino: il DIVIN. Nel mezzo del cammin di Baggio, sembrava impossibile ma è tutto vero, soltanto dieci passi lo separavano dal più grande di tutti i tempi: Diego Armando Maradona.
Quel giorno al San Paolo di Napoli accadrà qualcosa di straordinario e mistico, paragonabile alla liquidazione del sangue di San Gennaro.
Roberto diventerà Roberto Baggio nonché il Divin Codino.
Grazie a un dribbling e un piccolo saltello quel dì, allo Stadio San Paolo di Napoli, egli porterà via da sé un’umile menestrello. Poi con un altro tocco da biliardo e sono due in giornata: a sedere un altro azzurro perché con Baggio vanno tutti giù per terra. Povero quel menestrello lasciato inerme in terra con nemmeno il tempo di capir quello che gli è successo.
A questo punto l’opera del destino sembra ormai compiuta! La ruota è girata nel verso opposto? Ma che? No per Roberto Baggio! Non ancora perché in quel ragazzetto veneto c’è qualcosa di divino. E Roberto Baggio, messi i due uomini a terra, proseguirà inesorabile la sua corsa scultorea verso la porta napoletana. E giunto nell’area di rigore avversaria, con una pennellata alla Raffaello, il Divin Codino con una finta di destro e poi un’altra di sinistro disorienterà il portierello al quale gli è stato riservato lo stesso trattamento del suo compagno di squadra: Ricordate il povero menestrello? Con Baggio vanno tutti giù per terra e sono tre in giornata. Ormai la porta appare sguarnita: tutti giù per terra!
I tifosi sono ammutoliti, sbigottiti e udite, udite: in quell’azione i partenopei hanno messo in discussione persino il loro più grande beniamino: Baggio è megl‘e di Diego Armando Maradona? Durante quel trambusto, tra l’inquietudine generale del pubblico pagante, l’ultimo colpo di genio di piede destro. L’ultima pennellata del sommo maestro, Roberto Baggio: il Divin Codino.
Cosa sarebbe stato il
calcio senza Pier Cesare Baretti?
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