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“Io senza calcio non sto bene. Fosse per me arriverei a morire in tuta, a novant'anni, all'aria aperta, a insegnare pallone a qualche ragazzo che avesse ancora voglia di starmi a sentire”. [Zdnek Zeman]
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Il grande Milan di Sacchi, Galliani e Berlusconi
Abbi cura dei tuoi ricordi, perché non puoi viverli di nuovo (Bob Dylan).
Il poeta è colui che con le parole
incanta l’animo e fa battere il proprio cuore e quello altrui. È una citazione
di Roberto Benigni, il grande attore comico e regista toscano. Il poeta non è
soltanto colui che utilizza con grande maestria le parole; un poeta è un “creatore” di
emozioni in versi.
Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace d’imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario.
È un periodo, introspettivo, estrapolato
dal libro Walden, ovvero Vita nei boschi, di Henry
David Thoreau filosofo, scrittore e poeta statunitense.
Il bosco è una metafora di un luogo
intellettivo tenuto gelosamente nascosto nell’animo ove gli umani sentimenti
nascono, sostano e infine fuggono;
un luogo magico, metafisico, in grado di mettere in discussione
tutte le flebili certezze umane che – come un’armatura
antica indossata da un cavaliere errante – sorreggono l’architettura
di questo nostro misero corpo mortale.
Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici.
Chi è il sommo poeta tra i poeti?
Il sommo poeta per eccellenza è stato colui che ha dato origine al tutto, così come oggi noi lo vediamo con i nostri occhi: “In principio Dio creò il cielo e la terra, la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”. Poi Dio creò Marco Van Basten a sua immagine; a immagine di Dio lo creò e fu cosa buona e giusta.
Come il viaggio di Thoreau nei boschi, ammirare le gesta sportive dell’olandese al Meazza significava vivere profondamente e succhiare tutto il midollo della vita; mettere quest’ultima in un angolo e ridotta ai suoi termini più semplici: il gioco del calcio.
Silvio rimembri ancora quel tempo della tua vita rossonera mortale quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi. E tu, lieto e pensoso, il limitare di gioventù salivi?
Ahimè, nulla dura per
sempre! Mi sembrò di sentirti dire in una sera di maggio e mi ritrovai nel
futuro catapultato in una selva oscura ché la diritta via era
smarrita: “Come sono lontani quei tempi nei quali il Cigno di
Utrecht illuminava la via del cammino in rosso e in nero?”.
E fu subito sera, quel dolce e nostalgico ricordo mi fece sentire vecchio come quando scende, inattesa, la neve in autunno.
All’epoca per noi milanisti non contava solo vincere, soprattutto convincere attraverso il bel gioco. Lo ripeteva fiero in petto un giovane allenatore della Setta dei Poeti rosso e neri estinti, il nobile Arrigo Sacchi da Fusignano. Quell’Arrigo da Fusignano che di undici ragazzi ne fece una grande orchestra composta da 8 strumentisti italiani – tra archi, violini, viole, violoncelli, contrabbassi, ottoni e percussioni – e da tre rigogliosi tulipani olandesi: Gullit, Van Basten e Rijkaard. Era il Milan di Arrigo da Fusignano: quello della difesa granitica, della zona e del fuorigioco, del pressing e dello spettacolo. Furono tempi meravigliosi, prosperi di virtù e onorificenze: 1 Campionato italiano (1987-1988), 1 Super Coppa Italiana (1998), 2 Coppe Campioni (1988-1989, 1989-1990), 2 Super Coppa Uefa (1989, 1990) e 2 Coppe Intercontinentali (1989, 1990). L’Italia tutta e il mondo intero ascoltava, attonita, con le orecchie tese al cielo:
Che lassa pur ch’el mond el disa, ma Milan l’è on gran Milan!.
Oggi quel Milan “glorioso” - italiano -
costituito da uomini valorosi, purtroppo, non esiste più per una serie di
motivi sportivi, politici, economici e sociali. È un dato di fatto
oggettivo anche per il più scettico tra i tifosi milanisti. La società
rossonera, sfortunatamente, non è più nelle mani di Silvio Berlusconi, l’uomo
della provvidenza. Sir Silvio da Arcore ha avuto fame, tanta fame,
e per questo motivo anch’egli può essere considerato un membro onorario della
Setta dei Poeti Rosso e Neri estinti: “Volevo vivere profondamente, e
succhiare tutto il midollo di essa”. L’uomo di Arcore non ha
avuto mai l’ambizione di vivere in modo spartano come Henry David Thoreau, però,
Sir Silvio ha vissuto, certamente, da gagliardo.
Lode a te O Silvio detto il gagliardo!
Lode a te Arrigo da Fusignano, Maestro e
Ministro della Setta dei Rossoneri Estinti!
Lode a te Galliani da Monza, Ministro della Setta dei Rossoneri Estinti!
Tutto il contrario di voi milanisti,
quelli della nuova generazione, ormai troppo tristi e imbruttiti per esser
veri.
E adesso? Cosa mi resta, ti domandi?
Tifoso rossonero, di rado, tendi il tuo
orecchio al bosco e, soprattutto, abbi cura dei tuoi ricordi perché non
puoi viverli di nuovo.
5/04/1989 Real Madrid-Milan 1-1
(telecronaca di Bruno Pizzul)
Arsenico17
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