
In una grande epoca in cui l’Italia riusciva a
sfornare talenti e fantasisti dal valore inestimabile, una pagina importante di
calcio tra questi fuoriclasse ha contribuito a scriverla un fantasista che
anche il più grande giocatore nella storia del calcio, Diego Armando Maradona,
aveva designato come suo possibile erede dopo l'addio doloroso al Napoli:
Gianfranco Zola. Un uomo piccolo di statura, un vero ”scugnizzo” come lo
ribattezzarono in seguito i tifosi napoletani, ma ricco di fantasia e talento
tanto da far innamorare tutti i tifosi delle squadre in cui ha militato durante
la sua grande carriera, riuscendo a convincere anche i più scettici non solo
per il talento ma soprattutto per la sua umiltà di uomo semplice e pieno di
valori. Un vero campione che è stato fin troppo spesso sottovalutato e
abbandonato, ad un certo punto della sua carriera, dal nostro calcio, anche da
quello stesso Cagliari, che lo scartò in giovane età salvo poi ritrovarlo a
fine carriera, poiché per i sardi non fu giudicato “all’altezza” di poter
indossare la maglia rossoblù per via del suo fisico sin troppo “minuto” e
“gracilino”. E sì d’altronde Gianfranco Zola, soprattutto agli inizi
della sua carriera, ha dovuto faticare moltissimo per arrivare in “alto” e
guadagnarsi il rispetto degli avversari sul campo e soprattutto dei suoi
tifosi. Senza conoscenze di alcun tipo ma solo grazie al suo enorme
talento e duro lavoro è stato in grado di superare quelle barriere che sin da
ragazzino gli avevano impedito di essere considerato, prima che un giocatore,
un atleta come lo erano gli altri. Dopo Gigi Riva, Gianfranco Zola è il
secondo più grande talento che la terra sarda abbia mai potuto sfornare, se
infatti guardate la Sardegna quando la luce è ancora alta nel cielo azzurro,
all’orizzonte, avrete l’illusione che quello che scorgerete in realtà non sarà
solo la bellissima sagoma dell'isola ma bensì il piede destro illuminato di
Gianfranco Zola.
Il piccolo Gianfranco nasce durante una giornata calda
di luglio del 1966, in un piccolo paesino in provincia
di Nuoro sotto le pendici del monte Corrasi. Ed esattamente ad Oliena, il paese
in cui si produce il Nepente, il vino dei grandi miti antichi. Ed è proprio in
questo scorcio di terra sarda, che il piccolo Gianfranco cominciò a muovere i
suoi primi passi con il pallone, solo contro un muro di cemento su cui aveva
disegnato una piccola porticina da calcio. Era solito scendere da casa sua, per
passare ore e ore a colpire la palla approfittando del fatto che i suoi
genitori, Nenedda e Ignazio, lavoravano per l’intera giornata al bar del paese.
Gianfranco era un bambino piccolo e minuto, la natura gli preferì donare il
talento al posto centimetri.
Ma nonostante tutto la carriera da calciatore professionista cominciò molto
presto per lui e presso le fila della squadra del piccolo paese di origine, il
Corrasi di Oliena. Lì il “piccolo” Zola iniziò proprio a scontrarsi con i
bambini più grossi, più alti, più cattivi e più apparentemente affamati di lui.
Mentre osservava gli altri farsi spazio in campo a suon di sportellate e forti
contrasti, lui studiava attentamente il loro aspetto fisico per superarli con
determinazione solo con la forza della sua fantasia, del suo estro e della sua
velocità di pensiero. Per questo ogni contrasto, ogni spinta, ogni fallo
ricevuto contribuirono, lentamente, a migliorare la sua visione di gioco;
eliminando così facendo le enormi distanze che il corpo altrui gli poneva come
grosso limite.
Per migliorarsi fisicamente decise di imparare anche l'arte
del judo per istruirsi su come cadere, per comprendere meglio le
capacità del suo corpo in modo tale da renderlo sempre più agile nei movimenti
districandosi nel migliore dei modi, tra i suoi avversari sul campo. Intanto
mentre accresceva le sue qualità fisiche, Gianfranco, giocava e lo
faceva sempre meglio, mentre al Cagliari lo scartavano, fu nella Nuorese,
nel 1984, che cominciò a farsi notare nel mondo del calcio. A Nuoro
Zola giocò appena 2 stagioni in serie C2, la prima fu, per così dire, soltanto
d'ambientamento infatti mise di fila solo 7 presenze con appena 1 gol
all’attivo ma fu nella stagione immediatamente successiva (1985/1986) che
riuscì a entrare in pianta stabile tra i titolari della piccola squadra sarda,
disputando un’ottima stagione frutto di 24 presenze condite da 9 reti. Così,
nell’estate del 1986, Zola cambia maglia, ancora in C2, rimanendo sempre in
Sardegna, trasferendosi però alla Sassari Torres, squadra in cui sin
da subito ottenne la fiducia di tutti, diventando il punto di riferimento per
l’allenatore e i compagni, con il suo grande potenziale. Trascinata
dalle sue fantastiche giocate, la Sassari Torres riuscirà a conquistare una
storica promozione in serie C1 è da quel momento in poi, infatti, che il
“piccolo” Gianfranco, comincia a diventare “grande”, consacrandosi come uno
dei migliori giovani talenti italiani emergenti in circolazione. Ma per lui le
porte dei grandi palcoscenici sembravano apparentemente chiusi tant’è, che
rimase ancora per altre due stagioni alla Sassari Torres.
Giunto alla soglia dei ventitré anni sembrava oramai
destinato ad essere relegato sempre più ad un ruolo da calciatore di
“provincia”. Ma così non fu e infatti il suo
talento non era passato inosservato e l'allora dirigente del Napoli, Luciano
Moggi, nel 1989 decise di acquistarlo puntando forte su di lui per affiancarlo
e farlo maturare al cospetto di grandi campioni del calibro di Careca e
soprattutto dell’immenso Pibe de oro Diego Armando Maradona. Arrivato a Napoli,
neanche a dirlo, fece subito amicizia con Diego da cui, Gianfranco, imparò
tantissimo. Zola divenne in poco tempo praticamente il suo
pupillo nonché il suo primo sostituto e quando Gianfranco prendeva il suo
posto sul campo non lo faceva mai rimpiangere. Ma nonostante tutto non
era il tipo da montarsi la testa e anzi, la sua grande umiltà lo porterà, a
suon di grandi prestazioni, a ereditare la maglia numero 10, dopo che Maradona
stesso, dopo aver annunciato il suo addio al Napoli, disse ai vertici
societari: “Non serve che il Napoli cerchi un mio sostituto, perché in
casa avete già Gianfranco Zola!”
Il Napoli scendeva in campo contro il Pisa, stagione
1990/91, per un match del campionato di Serie A e i due fantasisti partivano –
per una volta – entrambi da titolari vista l’assenza di Careca. Dovete
sapere che Zola fu l’unico giocatore della storia a cui Maradona concesse
volontariamente di indossare il suo magico numero dieci e infatti la sorpresa
fu proprio per tutti, quando, fuori dal tunnel dello stadio, Diego era con il
numero 9 e Gianfranco con il numero dieci.
Il suo periodo a Napoli fu molto importante, non solo si confermò come un
grande giocatore, ma contribuì anche alla vittoria del tiratissimo scudetto del
1989. Però dopo quattro anni intensi nel 1993 verrà ceduto al Parma di Nevio
Scala per circa 13 miliardi di vecchie lire; accusato di “tradimento” dai
tifosi del Napoli, in realtà verrà ceduto da Ferlaino per i grossi problemi
economici perpetrati, negli anni, dalla squadra partenopea. Anche a
Parma si confermò come uno dei migliori giocatori italiani in circolazione
contribuendo, a suon di gol e prestazioni, alla vittoria della Coppa UEFA in
finale contro la Juventus e nella grande vittoria della Supercoppa europea
avendo anche l’onore e il merito di essersi posizionato al sesto posto nella
classifica iridata per l’assegnazione del pallone d’oro del 1995.
Ma dopo un grande periodo al Parma, ben presto con l’arrivo del neo
tecnico Carlo Ancelotti sulla panchina emiliana le cose andranno sempre più a
peggiorare per lui. Infatti, il tecnico di Reggiolo era solito utilizzare il
4-4-2 relegando Zola ad un ruolo di esterno di centrocampo, in favore della
coppia d’attacco formata da Hernan Crespo ed Enrico Chieda, mozzando di fatto
il suo grande rendimento avuto negli anni precedenti. Le continue
frizioni con Carlo Ancelotti per il suo nuovo ruolo poco consono alle sue
caratteristiche lo porteranno a lasciare il Parma nel 1996 con una nuova
squadra pronta a puntare forte su di lui il Chelsea di Ruud Gullit in premier
League.
LA LEGGENDA DI THE MAGIC BOX
La seconda metà degli anni ’90 hanno rappresentato anche un’epoca storica per
via dei diversi talenti del nostro calcio che emigravano dalla serie A per
andare a giocare in Premier League. Ed in particolare, a partire dal
’96, è al Chelsea che comincia a nascere e svilupparsi una vera e propria
piccola colonia di giocatori italiani. I Blues, a quei tempi, non
rappresentavano ancora la corazzata che tutti conosciamo bene oggi ma erano un
club di media bassa classifica che sino a quel momento aveva vinto l’ultimo
trofeo nel lontanissimo 1971, una Coppa delle Coppe, e che veniva considerata
stabilmente tra il novero delle squadre mediocri del calcio d'Oltremanica. Però
la stagione 1996-97 rappresentò quella della svolta per la storia del
club londinese. L’allora presidente dei Blues, Ken Bates, dopo
anni di austerity, decise di mettere mani al portafogli per innalzare il
livello della sua squadra, pensando bene di pescare i suoi Jolly proprio dalla
Serie A. Infatti, in quella calda estate portò a Londra calciatori del
calibro di Gianluca Vialli, svincolato e fresco campionato d’Europa con la
Juventus, e Roberto Di Matteo, acquistato per circa 5 milioni di sterline
dalla Lazio, ma il vero colpo che cambierà drasticamente il destino e la
storia futura del Chelsea fu sicuramente un nome solo: Gianfranco Zola.
L’impatto del fuoriclasse sardo in Premier League sarà
di quelli devastanti: Gianfranco non solo verrà premiato come giocatore
del mese di dicembre, periodo in cui metterà a segno 5 reti in 6 gare
arrivato a Novembre del 96, ma riuscirà a essere nominato, a nemmeno un
anno dal suo trasferimento al club di Londra, ed esattamente verso la fine del
‘97 il “Footballer of the Year”. Ambitissimo premio
che in premier League incorona il miglior giocatore dell’anno del
campionato inglese, tra l’altro fu e a tutt’oggi è ancora l'unico
calciatore italiano a essere stato insignito da tale importantissimo
riconoscimento.
Ma Zola non si limiterà solo alle soddisfazioni personali, ma grazie alle sue splendide
giocate trascinerà, letteralmente, i blues verso la conquista di importanti
trofei che torneranno a Stamford Bridge dopo quasi 30 anni: due Coppe
d’Inghilterra, una Coppa di Lega, un Charity Shield, una Coppa delle Coppe e
una Supercoppa Uefa. Zola sarà il trascinatore assoluto del Chelsea per gli
anni a venire e i tifosi ameranno così tanto quell’uomo di “piccola”
statura che lo chiameranno ben presto Magic Box, scatola magica, perché con le
sue “magie” diventerà il calciatore italiano più presente nella storia
della Premier League con 229 presenze e uno score di ben 59 reti,
nonché uno degli stranieri più amati di sempre nel calcio d’Oltremanica.
Ma oltre agli apprezzamenti ottenuti grazie alle sue “magie” sul rettangolo
verde, poco dopo la fine della sua esperienza inglese ne riceverà uno,
dal valore inestimabile, che va ben oltre il calcio, direttamente dalla regina
d’Inghilterra Elisabetta II: infatti Gianfranco sarà
insignito con il titolo di Sir e cioè di “Membro dell'ordine
dell'Impero Britannico”. Onorificenza che farà diventare Gianfranco
Zola uno dei cittadini britannici più stimati dal Regno Unito e dalla Regina
Elisabetta in persona. Dopo sette anni di militanza in Inghilterra, per
aiutare il Cagliari a tornare in Serie A, nel 2003 rifiuterà il facoltoso
rinnovo offertogli dal neopresidente Abramovich e all’età di 36 anni
decide quindi di ritornare in Sardegna facendo una scelta dolorosa ma
soprattutto di cuore e riconoscenza verso la sua terra come lui stesso dirà
poco dopo:
“Se non fosse stato per il richiamo della Sardegna, la mia terra, sarei
rimasto a vivere in Inghilterra per sempre”
Il Chelsea dopo il suo addio ai blues deciderà di
onorarlo non assegnando mai più a nessun giocatore la sua maglia numero
25, che rimarrà per sempre legata al nome di “the Magic Box”, Gianfranco Zola.
LA PARENTESI NAZIONALE
Forse l’unica nota stonata di una gloriosa carriera è la parentesi nazionale
fatta più di lacrime che di soddisfazioni.
Infatti, ai Mondiali del 1994 Sacchi lo fece esordire in occasione degli ottavi
di finale tra Italia e Nigeria. Gli azzurri erano sotto per una rete a zero e
le speranze di rimonta si basavano tutte sul suo ingresso in campo per salvare
la squadra da una cocente eliminazione. Ma il Mondiale di Gianfranco
durerà poco più di dodici minuti: l’attaccante infatti verrà espulso,
ingiustamente, con il più incredibile tra i cartellini rossi dall’arbitro
messicano Brizio Carter per un fallo apparentemente inesistente. Zola
lascerà il campo tra le lacrime per l’ingiustizia ricevuta, verrà squalificato
per due giornate e non verrà schierato, nemmeno per un minuto, dal tecnico di
Fusignano nel corso della finalissima con il Brasile poi persa amaramente ai
rigori. Non andrà nemmeno meglio, due anni dopo, agli Europei del
1996, Zola partì da titolare nella decisiva sfida di qualificazione
tra Italia e Germania per l’accesso alle fasi finali della competizione ma
purtroppo per lui sbaglierà il calcio di rigore decisivo che avrebbe consegnato
la qualificazione agli azzurri, clamorosamente eliminati durante la fase a
gironi. Ma prima di lasciare la nazionale definitivamente, Zola riuscirà
comunque a togliersi un’ultima grande soddisfazione, con la nazionale allenata
da Cesare Maldini; infatti, sarà una sua bellissima rete a risultare decisiva
per la vittoria dell’Italia nello scontro decisivo per le qualificazioni ai
Mondiali del 1998 contro l’Inghilterra al Wembley, facendo trionfare gli
azzurri con una vittoria che mancava dal lontano 1973 grazie
al gol di Fabio Capello. Nonostante un ottimo andamento Cesare Maldini non
lo convocherà per il mondiale preferendogli Roberto Baggio.
Oggi Gianfranco fa l’allenatore e l’opinionista tv, e
dopo alcune esperienze tra Italia e Inghilterra è in cerca di una nuova sfida
che lo possa soddisfare, perché lui è uno abituato a vincere le sfide.
Vi lascio con il video di uno dei gol più belli della sua carriera siglato a
gennaio del 2002 durante una partita di Fa Cup tra Chelsea e Norwich. D’altronde
se la classe non è acqua... Zola non poteva che essere the "Magic
Box".
Ciccio Indi
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