
Spregiudicato,
egocentrico all’estremo, amante del paradosso all’infinito, costruttore di
sogni ma soprattutto manager di successo. Una persona molto discussa, finita più volte nell'occhio del
ciclone - e nel mirino dei suoi tifosi e non solo - soprattutto per i suoi
gesti abbastanza “scenici” in occasione delle assemblee di lega, per le sue
baruffe con i tifosi, per alcune sue “uscite” poco felici, per non parlare di
alcune decisioni prese - nel corso degli anni - abbastanza discutibili, questo è tanto altro è il Presidente del
Napoli Calcio, Aurelio De Laurentiis. Una figura dal valore
eclettico, forse anche troppo per un ambiente “infuocato” come quello di Napoli
che sa essere tanto caloroso quanto critico, tanto gioioso quanto triste, tanto
entusiasta quanto amareggiato ma soprattutto eccessivamente ingeneroso nei
confronti del suo numero uno. Nonostante i tanti meriti avuti dal presidente De Laurentiis
per aver mantenuto il Napoli a grandi livelli per tutti questi anni, il
malcontento che si è venuto a creare - già da parecchio tempo a dire la verità
- all'interno della stessa tifoseria azzurra non si è praticamente mai placato
spaccandola letteralmente in due tra gli aurelioti - non troppo convinti - e
gli antiaurelioti - invece - super convinti. Anzi crescono, aumentando giorno
dopo giorno, sempre di più le contestazioni - tra i ritiri di Dimaro e Castel di Sangro - forse andando
anche fin troppo oltre in vista di una stagione che ancora deve cominciare e in
un mercato - come quello di quest’anno - piuttosto bloccato per la maggior
parte delle squadre di serie A.
A fine agosto forse in tanti hanno
dimenticato che saranno 18 gli anni passati dalla presidenza De Laurentiis alla
corte di Napoli per
far finta di non conoscerlo ancora per bene. Forse amarlo è chiedere troppo
quando in una città come Napoli le persone veramente amate si possono contare sulla
punta delle dita. Però quantomeno accettarlo per quello che è, soprattutto per
il livello in cui ha portato la squadra azzurra in tutti questi anni sarebbe
anche logico se non addirittura sensato. E quindi basta con l'ipocrisia,
l’illusione, i retro pensieri è sempre lecito esternare le proprie emozioni - da
pubblico pagante come direbbe De Gregori - quando si è contrari ad una
decisione presa da altri ma dopo un rapporto così duraturo nel tempo - che
supera anche l'età dell'innocenza - il pubblico di Napoli dovrebbe concedergli - se non riconoscenza - quantomeno fiducia su quello che sta per mettere in
atto in questa ennesima stagione vissuta all’ombra del Vesuvio. Ma l’incomunicabilità e l’ingratitudine - si dirà solo da
parte di qualche “imbecille” - tra i tantissimi tifosi del Napoli e il
presidente rimane oggi davvero un caso da affidare ai più bravi sociologi di
tutto il mondo.
Perché il bilancio della
quasi ventennale reciproca “coesistenza” è colmo di risultati esemplari per una
squadra che - per storia e tradizione - non ha quasi mai potuto lottare ad armi
pari con le grandissime della prima classe. Si fa fatica oggi a ricordare da dove viene quel Napoli
costruito Da De Laurentiis: dopo una veloce risalita dalle macerie del
fallimento in cui la squadra azzurra non era nemmeno più una società - versando
28,5 milioni di assegni - mentre altri imprenditori napoletani fuggivano
sperando di prendere il Napoli senza spendere nemmeno un centesimo, ci si
dimentica - anche tra i tifosi - quando loro stessi prima di godersi le notti
da “Champions” riempivano in 55 mila il San Paolo per vedersi la prima giornata
di serie C contro il Cittadella. Ci si dimentica spesso che il Napoli è quasi sempre - in
pianta stabile - nel giro delle competizioni europee, ci si dimentica spesso
come la squadra azzurra abbia sfiorato l’impresa di vincere tre scudetti e
soprattutto che è una delle poche società in serie A ad aver onorato sempre i
suoi impegni economici e finanziari come ad esempio uno stipendio o un acquisto
pagato nei termini e nei tempi prestabiliti in sede di trattative oltre ad aver
respinto ogni tentativo di infiltrazione con presunti ambienti criminali che
oggi fanno si che il Napoli calcio sia una società modello non solo in Italia
ma anche in Europa. E allora perché
viene così tanto disprezzato?
De Laurentiis è in fondo un imprenditore che mai ha ceduto
alla retorica napoletana, cioè a quella arte mistica e impareggiabile che può
diventare nella migliore delle ipotesi una magica epica di popolo, nel male un
vittimismo perenne tendente all’autolesionismo. In De Laurentiis quindi molti avvertono l’opportunismo, la
spettacolarizzazione, a tratti per l’appunto la ruffianeria e la spavalderia
tipica di chi disprezza Napoli e soprattutto i napoletani. A tutto ciò
va aggiunto anche la sacralità della napoletanità
ed è per questo che di conseguenza a un presidentissimo napoletano vengano richieste almeno una fra due onorevoli
virtù: l’attaccamento viscerale
alla città e al suo popolo oppure la signorilità tipica della tradizione
napoletana. Cose che non apparterrebbero a
De Laurentiis o che sarebbero interpretati a suo piacimento dall’alto della sua finta
“napoletanità”.
Ma diciamoci la verità i
tifosi napoletani forse vivono ancora eccessivamente nel mito di
un’epoca probabilmente irripetibile,
e cioè quella degli scudetti, della Coppa Uefa e di conseguenza in
quell’incancellabile immagine del Napoli Maradoniano che ancora oggi è capace
di attrarre anche i ragazzi che non l’hanno potuta vivere per mere questioni
anagrafiche. Di conseguenza tutti si aspettano sempre il grande colpo di
mercato, gli arrivi plebiscitari in pompa magna a Capodichino, il “Maradona”
dei giorni nostri che non esiste e che non esisterà forse mai! Ma nessuno comprende appieno che De Laurentiis è invece coetaneo
di un calcio che sacrifica la passione ai bilanci, che antepone il profitto
alla vittoria, l'incasso allo scudetto, il mecenatismo presidenziale degli anni
Novanta alla crudeltà del calcio business di oggi che impone di fare delle
scelte anche dolorose ma necessarie per mandare avanti la “baracca”. Viene accusato di nepotismo, di arricchimento personale
sulle spalle dei napoletani, viene definito un “pappone” per aver trasformato i
tifosi in meri consumatori vuoti di passione, di non investire sulle strutture
e soprattutto di non essere napoletano ma un romano impiantato quasi
abusivamente in un ambiente che disprezza - quando dice ad esempio di preferire
la pizza romana a quella napoletana - e in cui viene disprezzato quasi a pari
merito. Si sa la riconoscenza nel calcio non conta nulla soprattutto
quando si ha anche la capacità di contestare presidenti che hanno vinto 18
trofei in appena un decennio e in ben altri contesti, dunque, figuriamoci a
Napoli dove il pubblico si è stancato di “vivere” tra il limbo della mediocrità
assoluta e l’apoteosi dell’olimpo del calcio. Si dice “Vedi Napoli e poi
muori!” sarà pure così ma questo detto però non sembra valere per De Laurentiis
che invece “Vende a Napoli e poi
risorge”!
Ciccio Indi
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