“Io senza calcio non sto bene. Fosse per me arriverei a morire in tuta, a novant'anni, all'aria aperta, a insegnare pallone a qualche ragazzo che avesse ancora voglia di starmi a sentire”. [Zdnek Zeman]
Simone Inzaghi, nel silenzio più totale dopo quattro anni intensi, ha lasciato l’Inter. Lo ha fatto pochi giorni dopo una clamorosa e inspiegabile sconfitta per 5-0 nella finale di Champions League contro il PSG, come se la sua squadra non fosse mai realmente scesa in campo. E questo, dopo aver eliminato in semifinale uno dei Barcellona più forti degli ultimi dieci anni, con una prestazione tatticamente perfetta e con quel pizzico di coraggio e fortuna che nel calcio non guastano mai. Il crollo finale, soprattutto in campionato e inspiegabilmente nella partita più importante dell’anno, è stato fatale, ma anche profondamente amaro. Eppure, i Mass media e parte della tifoseria non hanno avuto nessun dubbo: da allenatore in ascesa del calcio europeo a tecnico sopravvalutato e fortunato, il passaggio è stato fulmineo. Inzaghi è stato screditato in fretta e con superficialità, come spesso accade nel nostro Paese quando qualcuno decide di intraprendere strade diverse e quando non ...
Marco Pantani nasce a Cesena il
13/01/1970; Da quel giorno sono passati, ben, 50
anni. Sembra ieri e invece… Marco Pantani è stato uno tra i più grandi
scalatori di tutti i tempi. Chi non ha vissuto sulla pelleil
Pirata romagnolo, allora, non può capire di chi sto scrivendo. Marco
Pantani non è stato semplicemente uno “sportivo”; Uno a caso tra i tanti atleti
nella lunga e gloriosa storia del ciclismo italiano e mondiale. Per certi versi
- senza esagerare - Marco Pantani può essere paragonato a un’entità
spirituale fatta di pura energia. Quella potente forza - per certi
versi mistica - è stata recepita da milioni di italiani e sportivi nel mondo.
In quegli anni - felici e spensierati per milioni di italiani - non c’era
bisogno di praticare il ciclismo per amarlo. Marco Pantani, fisicamente, non riconduceva
all’immagine stereotipata del classico atleta; Quello senza cervello, tutto
muscoli e testosterone. L’uomo perfetto al quale tutti noi vorremmo somigliare un giorno.
Dio che si è fatto uomo, a petto nudo, glabro e con sopracciglia e unghie,
appena, rifatte dall’estetista made in Cina. Completano il pacchetto dell’uomo
perfetto un taglio di capelli alla moda, una connessione veloce, l’immancabile smartphone
all’ultimo grido - meglio se iPhone - e un profilo accattivante in Instagram: Signori
e Signore sono lieto di presentarvi il Frankenstein dei tempi moderni.
Non ci importa nulla se lo spirito sia scollegato da un fisico, troppo
scultoreo per esser vero perché è soltanto un piccolissimo e insignificante
dettaglio per la società contemporanea: Quella che venera il DIO
dell’apparenza; Sempre alla ricerca della perfezione del corpo a discapito
di quella, ben, più profonda dello spirito. Tanto, prima o poi, anche lo spirito
evapora così come il buon vino in una giornata calda d’estate.
Pantani aveva un fisico normale, nella media; insomma,
niente di eccezionale. Non aveva super pettorali da ostentare in pubblico e,
tantomeno, i famosi addominali a tartaruga: quelli da scolpire in palestra,
spesso, grazie anche all’aiuto dell’amico farmacista. Marco era il classico
antidivo con un viso dai lineamenti ben marcati. Per certi versi ricordava
vagamente un uomo del passato. Perché no? L’Homo Sapiens di
45.000 anni fa. Orecchie a sventola, orecchino da tamarro e una calvizie in uno
stato avanzato. Una testa liscia come una palla di biliardo, possibilmente da
nascondere con un cappellino colorato durante la giornata o la mitica bandana
gialla durante una pedalata.
Magari e chi lo sa, Marco,
toglieva il cappellino soltanto a letto quando, finalmente, le tenebre della
notte mettevano fine alla luce e ai demoni diurni. I corpi sono tutti
uguali al buio.
“E al contrario milioni di creature spirituali si muovono,
non viste, sulla terra, quando siamo svegli come quando dormiamo”.
Per fortuna non c’è soltanto il DIO dell’apparenza a
fare da padrone nelle nostre misere vite mortali, ma ci sono anche i vari John
Milton; e ci sono soprattutto gli affetti; L’amore della famiglia per
combattere quell’insicurezza che è insita nel profondo dell’animo di ciascuno
di noi; Lo sguardo compassionevole di un padre o quello pieno d’amore di una
madre.
“Vieni, uniamo le mani, e calpestiamo il suolo in un
leggero fantastico volo”.
Anche se da quel fantastico volo - un giorno o l’altro
e senza nessun preavviso - si può cadere
senza un paracadute in dotazione.
Lo sapeva Marco Pantani. Lo sapeva lo scrivente.
Per fortuna c’era il ciclismo nella vita del forte
corridore romagnolo. Lo sport inteso come la più potente medicina per curare il
corpo e lo spirito umano. Un carattere complesso quello di Marco Pantani. Una
personalità, solo, all’apparenza semplice con tante, piccole, sfaccettature da
scoprire a dosi. Un piccolo mondo nel mondo. L’esistenza di un uomo ricorda un
puzzle con migliaia di piccolissime tessere da mettere insieme con infinita pazienza:
una fila dopo l’altra e l’una nell’altra per dare un senso alla vita.
Ma come canta Vasco, spesso, la vita un senso non ce
l'ha. Forse è questo il motivo per cui
risulta essere indispensabile fare qualcosa che ci consenta di mettere - almeno
temporaneamente - in un armadio i nostri demoni? Vivere alla stregua di una bestia. Sopravvivere nel modo più
semplice possibile di istinti primordiali, quelli più essenziali.
Il ciclismo è uno sport duro e per certi versi praticato attraverso comportamenti
automatici che non sono il frutto né di apprendimento né di una scelta
personale. La fatica - senza ombra di dubbio - è un comportamento ricollegabile
all’istinto più antico dell’uomo.
E per Marco Pantani Il ciclismo era fatica, tanta.
"Se vuoi qualcosa te lo devi prendere Marco
con tutte le tue forze perché nessuno ti regala niente. Pedala Pantani".
"Spingi più forte su quei, maledetti, pedali per staccarli tutti in salita nella
tua folle corsa contro il tempo. Pedala Marco".
Il giovane Marco aveva deciso di vivere la
vita in un modo istintivo: Pedalando e facendo fatica sui pedali di una
bicicletta, meglio se in una strada curva e stretta alle pendici di una grande
montagna. Tra le rocce, nel posto più vicino a DIO nel tentativo - invano,
ma umano - di capire il suo stesso DIO.
Marco Pantani sui pedali della sua
fedelissima Bianchi diventava un’entità spirituale fatta di pura energia.
Scatto di Pantani! È stato il grido di battaglia per una generazione di
tifosi del Pirata, prima accecati e poi illusi da quell’energia bestiale.
Marco Pantani l’uomo con il cuore affamato di
ossigeno. Un pirata eroico sui pedali di una Bianchi 1998. Marco Pantani e la
fatica come il miglior alleato perché la vita un senso non ce l’ha. Un uomo, solo, al comando in sella alla sua Bianchi. Un
pirata audace artefice del proprio destino. Un uomo solitario con l’istinto primordiale
di una bestia feroce; perché spesso la vera felicità alberga nello
stomaco. No nella mente ove, un giorno, essa verrà corrotta, plagiata e trasformata in
qualcosa d’altro e comunque di ben diverso dalla sua forma
originale.
Su quella bicicletta, Marco Pantani era una bestia di
rara bellezza e affamata di vita, audace e coraggioso come un pirata e alla
ricerca della vera felicità….
Ma, ahimè, nulla dura per sempre perché i sogni
sono il pasto preferito per i porci e il destino è spesso nella bocca
asciutta dei perdenti.
Il 14 febbraio 2004, all’età di soltanto 34 anni,
dalla Polizia è rinvenuto il corpo senza vita di Marco Patani. Morto suicida per un’overdose di cocaina - con
segni visibili di percorse sul suo viso- nel Residence le Rose di
Rimini.
La vita è spesso una cruenta e sanguinosa battaglia
contro un nemico invisibile. Una battaglia all’ultimo e sanguinoso
colpo per determinare chi vestirà i panni della vittima e chi, al contrario,
quelli comodi del carnefice.
Alla fine di tutto, ahimè, soltanto uno
ce la farà: Il più forte di tutti, la BESTIA tra le bestie.
È la dura legge non scritta della vita! Perché in fin
dei conti, nonostante l’illusione della ragione, siamo pur sempre delle bestie
carnivore. Ci nutriamo avidi di sangue umano e animale. È il nostro DNA da perdente.
Bestie in un’esistenza che si consuma, velocemente, come
l’ingenuità di un bambino. Perché tutto fugge via nell’eterna battaglia
dell’uomo contro il tempo. Golia contro il Davide, il perdente contro il vincente, il sole
e la luna, il mare e il cielo, la follia e la ragione....tramonto e alba e così via…sempre più
giù a scavare nel profondo dell’animo umano. Perché, nonostante tutto, le
parole fuggono via dalla mente con la stessa velocità in cui ne hanno fatto
parte. Le parole invecchieranno anch’esse a causa del tempo che passa.
Ebbene tutto, e proprio tutto, ha un inizio grandioso
e una sporca fine. Ehm, e durante questo lasso di tempo infinitamente
piccolo per ogni essere vivente, ci sarà un’unica ragione di vita: vincere a
ogni costo. Alla fine, siamo pur sempre delle BESTIE alla ricerca
delle felicità perduta….
E alla fine di tutto, ahimè, soltanto uno ce la
farà: Il più forte di tutti, la BESTIA tra le bestie.
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