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“Io senza calcio non sto bene. Fosse per me arriverei a morire in tuta, a novant'anni, all'aria aperta, a insegnare pallone a qualche ragazzo che avesse ancora voglia di starmi a sentire”. [Zdnek Zeman]
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Vivere la vita, Antonio Cassano.
Antonio Cassano nasce a Bari il 12 Luglio
1982. Per gli appassionati della Numerologia la data di
nascita di Antonio è tutto un programma; Un destino scritto nel cielo tra le
stelle più luminose del firmamento. Difatti, il
ragazzo di Bari Vecchia nasce il giorno dopo la mitica finale del campionato
del Mondo; Forse, la più bella di tutti i tempi per i colori azzurri. Finale che
si disputò in Spagna tra l’Italia di Enzo Bearzot e la Germania Ovest di Jupp
Derwall. Quell’epica partita si concluse con il trionfo degli azzurri che si
imposero con un risultato schiacciante, per tre reti a uno, sulla
Germania Ovest di Jupp Derwall. Per gli azzurri nel tabellino dei marcatori
c’entrarono Paolo Rossi, Marco Tardelli e Alessandro Altobelli. Invece, per i tedeschi
la rete della magra consolazione fu siglata all’83’ da Paul Breitner. “Campioni del Mondo!”, fu il
giubilo al triplice fischio di Nando Martellini. “Campioni del Mondo!”, sotto gli occhi al color di luna
di Sandro Pertini, nonché l’ex Presidente
della Repubblica Italiana.
Antonio Cassano iniziò a tirare due calci a un pallone tra i vicoli popolari, bianchi e stretti, di Bari Vecchia;
A cavallo tra la fine degli anni
ottanta e l’inizio di quelli novanta. Una vita difficile - forse di più - quella
vissuta dal ragazzo con il caschetto biondo alla Nino D’Angelo. Il Sig. un
jeans e 'na maglietta che spopolava con la sua musica neomelodica napoletana tra i vicoli popolari e difficili del
capoluogo pugliese; Negli anni novanta, il calcio era il principale
passatempo per milioni di adolescenti. A quell’epoca, infatti, non esistevano
la Playstation 5, lo Smartphone, l’iPhone 11, l’iPod touch, il Tablet e chi più
ne ha, più ne metta.
“Qui al Sud si campa d’aria. A me basta questo e nient’altro!”
Mi avrebbe confidato Matteo, un saggio ed ex compagno di classe, pochi anni dopo
il diploma all’Istituto Tecnico Industriale di Bari.
Il calcio al Sud, in Puglia, si praticava soprattutto con la dura legge della strada. Dall’allegra comitiva il più scarso portava sempre il suo pallone; il poveraccio era sempre l’ultimo a essere abile e arruolabile dall’allegra comitiva del quartiere. “Razza contro razza!”, era il grido di battaglia tra un citofono e l’altro, da una via all’altra della strada.
Sul far della sera egli era, sempre, il primo a rincasare.
“Matteoooo a casaaaa”, Sbraitava, stufa, sua mamma dal balcone. “Uffa. Si, Ma’, mo’ vengo. Dammi un attimo. Abbiamo finito, dammi ancora cinque minuti”.
Senza perdersi d’animo, la donna rincarava la dose con l’utilizzo di vocali sempre più aperte, ma questa volta con un tono di voce più acuto e autoritario:
“Matteooooooooo! E’ tardi a tavolaaaaaaaa”. “Ma’ aspè. Mo’ vengoooo”. “E quando? E’ tardiiiiii, ho già messo la tovagliaaaaaaa. Tuo padre poi si arrabbiaaaaa.”.
Nel quartiere, tutti, sapevano i cazzi personali del povero Matteo; Se allora ci fosse stata la legge sulla privacy, Matteo avrebbe sicuramente stravinto la causa contro sua mamma per violazione del trattamento dei suoi dati personali.
“Mamma. Vengo solo dopo aver recuperato il mio
pallone!”.
Quella
testa di cuoio si nascondeva, dispettoso, tra l’aldilà e l’aldiquà della
strada. Il gioco del calcio era tutto grasso che colava
per quel ragazzino di Bari Vecchia con un viso da promessa delinquente e segnato
a vita da un’acne volgare.
“Io
stongo carcerato e mamma more….voglio murì pur’io primma ‘e stasera. Oj
carceriere mio, oj carceriere. Famme ‘na carità: Famme vasà a mamma! Io nun so’
delinquente, ma ll’onore nun m’hanna tuccà…….”
Per l'abilità con il pallone nei vicoli popolari di Bari Vecchia, il giovane Antonio era venerato come se
fosse un Dio sceso in terra per allietare i pomeriggi movimentati di tutti i ragazzi del
quartiere. Ciononostante, ebbene precisarlo per chiarezza, il fatto
significa tutto e niente. Perché in quelle strade - allo stesso modo, anzi di più - si celebravano anche i pregiudicati e i delinquenti.
Quell’anti-Stato, subdolo e feroce, che si sostituiva a quello Stato debole e
accomodante. In quei vicoli, stretti e polverosi, dove guarda e passa era la prima regola
della strada per sopravvivere alla giornata, eravamo
soltanto amici di merenda; Amici di tutto e amici di un bel niente. Tu chiamala se vuoi omertà, vivere
alla giornata, non saprei proprio, noi lo chiamavamo istinto di
sopravvivenza.
Nelle strade popolari di Bari, il confine tra legalità e illegalità era davvero molto sottile.
In Puglia non si scherzava, mai, con il fuoco. Da un piccolo cerino poteva nascere, subito, un grosso incendio. C’era la Sacra Corona Unita che, durante la giornata, faceva il bello e il cattivo tempo. Ahh. Quel santo uomo di mio padre me lo ricordava a ogni occasione giusta; quella che faceva l’uomo ladro:
“Figlio mio prediletto. Alla tua età, ai miei tempi, le
problematiche della strada si risolvevano con una sana scazzottata tra ragazzi
del quartiere. Niente di più. Ci conoscevamo tutti. E dopo aver chiarito, tutti
a casa, felici e contenti. Amici come prima. Magari con un piccolo livido sul
braccio o, alla peggio, con un occhio pesto. Adesso, ahimè, tutto è cambiato in
peggio. Per la serie: Si stava meglio, quando si stava peggio. Questi ti
prendono a revolverate e soltanto per uno sguardo di troppo”.
Per fortuna, mio padre lavorava in Banca. Facevo la bella vita negli anni novanta. Ero parte integrante di una nuova e brillante borghesia emergente. Quella dei figli degli agricoltori che - tradendo le proprie origini umili e contadine - si volturarono in asettici impiegati statali per conquistare un nuovo e ambito status sociale: quello di un borghese emergente in una società di classi sociali ben definite. Come tanti, tra i miei coetanei di allora, in strada sfoggiavo “fiero” il nuovo Swatch, l’ultimo zaino dell’Invicta alla moda e un jeans di marca Carrera. Vivevo sereno e senza particolari patemi d’animo; in un nuovo quartiere residenziale che spuntava dal suolo, come una pianta infestante, nella periferia perbene della città. Al contrario, nato in un quartiere popolare di Bari Vecchia, il giovane Antonio non se la passava affatto bene. Nonostante, il talento nel gioco del calcio. Lui - per sua sfortuna - non faceva parte della mia stessa classe sociale. Soprattutto a causa del rapporto “complicato” con il padre, il sig. Gennaro Cassano. Quest’ultimo era sposato e con figli a carico. Nel 1981 aveva avuto una relazione, extraconiugale, con la signora Giovanna dalla quale nacque, appunto, Antonio Cassano:
“Fino a 17 anni ho vissuto la fame nel vero senso della parola. Mia madre non lavorava, era casalinga, e guadagnavamo 3-4mila lire al giorno. Con quelle dovevamo mangiare”.
Dopo anni di stenti e sofferenze. Finalmente la
svolta nel mondo del calcio, quella tanto agognata nella vita del ragazzino di
Bari Vecchia. E tutto questo, grazie al gioco del calcio: Lo sport più bello
del mondo. E con la maglia mitica del Bari, a soli diciassette anni, Antonio Cassano
diventerà l’enfant prodige del calcio italiano.
Quel ragazzo di Bari Vecchia ce l’ha farà da solo. Diventando un esempio positivo per tutti i ragazzi del mio quartiere. Quel ragazzo di Bari Vecchia, con il caschetto biondo, nato tra i vicoli popolari dove la sete era tanta e il fiasco era corto.
Hiyhaaaa!
Arsenico17
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