Ho sempre pensato - a torto o a ragione
- che un cantautore valga molto di più di un uomo che calcia un pallone.
Con questa affermazione, un pò audace, mi rendo conto di essere entrato in un argomento molto scomodo.
Molti di voi non saranno d’accordo e quindi, d'ora in poi, dovrò modulare con
molta attenzione le parole. Qual è il rischio?
A parere dello scrivente - solo per gusti personali - la
maggior parte dei tifosi di calcio sono un tantino "permalosi" e
talvolta, persino, pericolosi come
i lupi affamati di montagna.
Il mio saggio nonnino - beato lui perché ha campato fino
alla veneranda età di quasi cent'anni, nonostante la guerra - mi ha sempre consigliato di non parlare a tavola di Politica o Religione con amici, parenti e infine sconosciuti. Meglio non farlo coi commensali, palesemente,
in malafede. Con l’umiltà
che mi contraddistingue - posso avere mille difetti compreso l’utilizzo
improprio della grammatica ma non quello, più peccaminoso, della prostituzione
intellettuale - alla lista di mio nonno vorrei, umilmente, aggiungere alla vostra cortese attenzione,
tra i tanti temi di discussione trattabili e immaginabili, un altro argomento di
"difficile" narrazione da prendere assolutamente con le pinze:
il gioco del calcio.
Non solo, purtroppo, i tifosi contribuiscono a rendere
l’aria greve attorno al mondo “pallonaro” - altro che la povera Pianura Padana da giorni sommersa dalla nebbia, dallo
smog e dall’aria A, B e C - ma spesso ci si mettono,
anche, gli addetti ai lavori che - un po' come i nostri "cari"
politici - sono ben consapevoli dei loro privilegi e, di conseguenza, molto
determinati a difenderli, a tutti i costi, benché ci sia un minimo
guadagno.
Del resto, anche loro comuni mortali, devono pur mangiare per poi,
infine, addirittura defecare. Funziona allo stesso modo, per tutti, indipendentemente
da ruolo, cultura, settore e competenze. Prima si mangia e poi si va
al cesso. In un certo senso, mi verrebbe d’avere una certa riluttanza nel
qualificare i giornalisti come dei semplici fessacchiotti. Tutt’altro,
giustamente, potrebbe obiettare chi - povero fesso - mi sta leggendo sciaguratamente.
Anche io, sono nato fesso, ma a differenza vostra, almeno, consapevole che esiste un'enorme differenza tra chi appare stolto agli occhi degli dei
e chi lo è agli occhi del mondo.
Per
Oscar Wilde - un po' come la
pensa lo scrivente con le dovute proporzioni perché io sono molto più fico di
lui - non ci vogliono conoscenze o
competenze specifiche per essere uno stolto, ma l'importante è avere la
consapevolezza, interiore, di quello che si è in realtà…
Pare
scontato, ma non lo è per tutti.
Per questa ragione, mi hanno lasciato
perplesso le recenti dichiarazioni del noto giornalista Mario Sconcerti:
“Haaland ha una faccia da sindrome down, non è normalissima”
Che animo sensibile Sir Mario!
Detto questo…
Correvano gli anni novanta - per la precisione l’anno 1992 - e al festival di
Sanremo si presenta, come concorrente, un cantautore romano con una ballata
classica, dedicata a sua madre Annamaria, intitolata Portami a ballare.
La canzone ha un discreto successo e, conseguentemente, proietta Luca Barbarossa nelle
prime posizioni in classifica. Lo scrivente - allora tricologicamente sano
e integrato nella comunità d’impesa – aveva, appena, quindici anni ed era
innamorato pazzo di Benedetta, la sua dolcissima compagna di classe ai tempi
delle scuole superiori. Un
amore puro e, per la cronaca del tempo, mai corrisposto da parte della nobile
fanciulla; nonostante quell'amore, come scrivevo, non sia stato
mai corrisposto per me, oggi come ieri, è stato molto importante.
Anche perché, quell'anima pia, per cinque anni di seguito mi
ha passato una serie indefinita di pizzini con i risultati dei compiti in
classe di matematica…
Se non fosse stato per lei, io "fossi" più
ignorante di quello che sono in realtà. Almeno, oggi, posso vantarmi di non
esserlo, almeno sulla carta grazie al diploma di maturità in tasca. W l'Italia!
Cara Betty
Nonostante il tempo sia passato inesorabile, oggi, ti ricordo come se fosse
ieri! Sento, forte, il profumo di lavanda sui tuoi vestiti. Ahhhh! Le tue dita
affusolate e le pellicine da strappare, durante la lezione di italiano; le
unghie senza smalto, leggermente, mangiucchiate sulle punte. Il mio Swatch
colorato sul tuo polso affusolato. Ahhhh! La camera da letto, il tempio della
Dea, nella quale mi facevi ripetizioni di matematica al sabato pomeriggio.
Ahhhh! Il poster del tuo cantante, preferito, poco sopra la testata del letto;
Ahhhh!
Cara Betty, oggi sono malato di nostalgia, riascolto nella mente mia le tue
profetiche parole: “Sei un
testone, la definizione di derivata, o derivata prima di una funzione in un
punto, prevede di definire la derivata come limite del rapporto incrementale
della funzione nel punto al tendere dell'incremento a zero”. Poi,
semplicemente, mi sorridevi come, sempre, hai fatto con il sottoscritto: “Dai su, per oggi basta con la
matematica! Ti faccio ascoltare, il mio cantante preferito, Luca Carboni!”
Click! Lo stereo è acceso, il rumore del nastro che riavvolge la cassetta, un
leggero fruscio dalle casse....shhhhhrrrrrrrr.....pochi secondi di silenzio
(come era solito fare, nei suoi brani, il cantautore bolognese) e, oggi come
ieri, TU.....
Non sei andata via, non sei andata via
Non è colpa mia, è che non va via
Non si può cancellare niente
Tutto viene registrato
Dalla mente, dalla mente mia
Dai cuori no, non si va più via
Sono scatole perfette
In cui ritrovi sempre tutto
Così ora tu non sei più mia
E' finita sì e sei andata via
Ho sempre pensato che - a
torto o a ragione, fate voi perché per me è lo stesso - un cantautore vale molto di più
di un uomo che calcia un pallone.....
Click
Arsenico17
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