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“Io senza calcio non sto bene. Fosse per me arriverei a morire in tuta, a novant'anni, all'aria aperta, a insegnare pallone a qualche ragazzo che avesse ancora voglia di starmi a sentire”. [Zdnek Zeman]
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Si può ancora parlare di "Piolismo" o "Ibracadabra"?
L’era di Pioli al Milan, dopo
le ultime roboanti sconfitte subite con l’Inter in Supercoppa Italiana, per 3 a
0, contro la Lazio all’Olimpico, per 4 a 0, e a San Siro per 5 a 2 contro il Sassuolo,
sembra giunta al capolinea nonostante non ci siano stati particolari segnali da parte della società in questo senso. Un
momento di grande difficoltà che è arrivato appena dopo la pausa per i mondiali
in cui la squadra rossonera, tra infortuni e scelte obbligate, sembra completamente
essere crollata, fisicamente e psicologicamente, sotto i colpi degli avversari,
subendo la bellezza di ben diciassette reti complessive in appena 6 partite disputate
nel 2023, aprendo di fatto una “crisi” che non era mai capitata da quando il
tecnico emiliano guida la panchina del Milan. Un’incredibile “epopea” quella di Stefano
Pioli, coincisa e iniziata con il ritorno di Zlatan Ibrahimovic
in rossonero e soprattutto dopo l’umiliante
sconfitta subita, per 5-0, per mano dei “terribili” ragazzi di Gasperini a Bergamo,
in quel oramai lontano 22 dicembre del 2019. Una sconfitta che pareva aver
messo la parola fine alle ambizioni del Milan e soprattutto a quelle del suo
allenatore uscito già scottato dall’esperienza, nerazzurra, nell’altra sponda del
Naviglio. Oggi più che mai in questo particolare momento non si può
dimenticare da dove si è partiti, che cosa è stato costruito e cosa è stato
in grado di fare Stefano Pioli con le sue idee di allenatore molto “sottovalutato”.
Perché è pur vero che Ibrahimovic è stato il punto fermo a cui il tecnico
rossonero ha affidato le chiavi del “campo” e soprattutto dello spogliatoio, ma
dopo il lockdown per il covid e nel bel mezzo di quell' inquietante atmosfera da calcio con zero
spettatori, Pioli ha potuto gettare il cuore oltre l’ostacolo costruendo un
Milan vincente e soprattutto convincente a sua immagine e somiglianza,
affidandosi sempre meno alla seppur importante “aurea” irradiata dal suo leader
più carismatico come il campione svedese. Infatti è proprio da quel momento in
poi che il tecnico emiliano non ha più avuto bisogno delle “sole” grandi
doti di leadership di Ibra per trasmettere
alla sua squadra l’impronta necessaria a trasformarsi completamente, per poter
programmare un futuro ancora più roseo. Perché nonostante il Milan sia ancora nei primissimi posti della
classifica, a dieci lunghezze dal Napoli?, bisogna ricordarsi che se oggi si
è tornati a certi livelli è stato possibile anche grazie e soprattutto a
Stefano Pioli, alla sua pacatezza, alla sua grande professionalità e alla
sua duttilità che gli hanno permesso di far esprimere alla sua squadra un
calcio moderno, all’avanguardia e con continui cambi di posizione all'interno
della stessa partita. Tutto quello che
ha saputo costruire il Milan, in questi anni, è merito di questo straordinario “normalizzatore”
che nell’arco della sua carriera non è forse stato in grado di dimostrare
pienamente il suo reale valore come invece è riuscito a fare in rossonero
grazie anche alla fiducia di Maldini e Massara nonostante, è bene ricordarlo,
fossero propensi a sposare il progetto Rangnick per fare “svoltare” le sorti di
una società oramai da troppo tempo caduta nell’anonimato.
Un allenatore che con il lavoro quotidiano e la fiducia dell’intero ambiente ha saputo cancellare tutte quelle brutte etichette che gli erano state appiccicate addosso, come accade spesso nella vita, nel corso della sua lunga carriera tra il calcio di provincia e quello di medio – grande livello. “Mr. Normal Man”, come lo ha definito la gran parte dei tifosi, ha saputo ridare orgoglio, dignità e competitività ad un Milan su cui nessuno avrebbe mai puntato un centesimo soprattutto dopo la pessima parentesi targata Ly e coadiuvata dal duo dirigenziale Fassone – Mirabelli. Stefano Pioli ce l’ha fatta a scacciare i “pregiudizi” al termine di un campionato, come quello scorso, animato dall’incertezza ma giocato sempre ad altissimi livelli, laureandosi campione d'Italia per la prima volta nella sua carriera. Un premio, sofferto, meritato e che gli ha permesso di coniare un nuovo movimento calcistico al pari di altri suoi illustri colleghi: il cosiddetto “Piolismo”. Basato su una grande gestione di un gruppo giovane e con voglia di dimostrare il suo valore, maturato in fretta e furia, grazie alla sua mano e coadiuvato anche dal carisma e dalla grande esperienza internazionale di Zlatan Ibrahimovic, con il quale il tecnico ha saputo, consolidare, un rapporto di stima reciproca e soprattutto di grande fiducia e rispetto. Pioli è entrato di diritto e con merito nella storia del Diavolo, creando un’alchimia di gioco moderno e innovativo che con i giusti innesti poteva continuare a dire tranquillamente la sua anche a livello europeo ma quest’anno le scelte di mercato da parte della società, e in particolare del duo Madini – Massara, sembrano completamente sbagliate, visto e considerato gli addii clamorosi a parametro zero di giocatori importanti non sempre dignitosamente sostituiti come ad esempio quel Franck Kessié nel frattempo accasatosi al Barcellona. Oltre al fatto di aver speso tutto il budget disponibile per un giocatore sicuramente di prospettiva e che avrà tempo di dimostrare il suo valore come De Ketelaere, arrivato in pompa magna e paragonato a grandi giocatori del passato rossonero ma mai decisivo in ogni singola presenza, per non parlare di quel Origi che tutto sembra fuorché un buon attaccante su cui poter fare affidamento.
Quindi
adesso che tutto sta girando per il verso sbagliato è facile prendersela con
Stefano Pioli quando sul suo carro ci sono saliti tutti compresi quelli che in quel
lontano, ma non lontanissimo, Ottobre del 2019 lo avrebbero volentieri fatto
fuori. È facile adesso gettare fango sull’allenatore quando solo qualche mese
fa si gridava a squarciagola PIOLI IS ON FIRE. La verità è che oggi più che mai
bisogna combattere anche contro la schizofrenia del tifoso medio che va dove
tira il “dolce” vento dei social diventati una vera bomba ad orologeria pronta
ad esplodere nefandezze di ogni genere al primo passo falso. Pioli non merita di
essere bistrattato in questo modo dopo un' autentica impresa compiuta come
quella dell’anno scorso soprattutto dopo aver accettato un Milan che nessun
“big” avrebbe mai preso in quelle pessime condizioni. A volte bisognerebbe
essere riconoscenti per ciò che è stato fatto ma in Italia contano solo i
risultati e nient’altro il resto è solo carne da macello data in pasto al pubblico per coprire
gli errori che sono stati commessi da altri. Il Milan sembra non averne più,
dopo quasi quattro anni giocati ad altissima intensità e dove si è fatto un
autentico miracolo vincendo il tricolore. Non si poteva pensare di riconfermarsi
quest’anno non costruendo una squadra all’altezza, credendo di poter ripetere l’ennesimo
miracolo, quindi non c’è da stupirsi se i rossoneri stanno attraversando questi
trenta giorni di “buio”. Forse il “Piolismo” sarà anche terminato ma non sarebbe
più giusto accusare i veri responsabili di questo incredibile tracollo? Non sarebbe
più giusto prendersela con chi non ha saputo costruire una squadra all’altezza dello
scudetto cucito sul petto? Era estremamente necessario rinnovare il contratto ad
un quarantenne alle prese con un grave infortunio che non è stato in grado di fare
un passo indietro solo per il suo grandissimo ego? Dunque si può parlare ancora di Piolismo o Ibracadabra?
Ciccio
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