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“Io senza calcio non sto bene. Fosse per me arriverei a morire in tuta, a novant'anni, all'aria aperta, a insegnare pallone a qualche ragazzo che avesse ancora voglia di starmi a sentire”. [Zdnek Zeman]
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La leggenda romanista "Pluto" Aldair
Dopo esser stato scartato dal club di Rio sembrava – dunque -
chiudersi, la pagina calcistica di Aldair, in quanto smise, momentaneamente, di
giocare a calcio per fare ritorno dalla sua numerosissima famiglia. Ma il
richiamo per quella piccola sfera rotonda di cuoio era ancora troppo forte, per
rinunciarci definitivamente. Nel 1985, arriva la grande occasione, a bussare
alla porta di casa Nascimento do Santos è il Flamengo. Lo scout della squadra
rossonera Juarez dos Santos, scelse proprio lui, tra i suoi quattordici fratelli,
accorgendosi del suo incredibile talento cristallino tra la polvere e lo sporco
di una partita tra amici giocata nei campetti del comune metropolitano di Duque
de Caxias a Rio de Janeiro. Per giocare con il Flamengo si trasferì nella
Baixada Fluminense, ai margini della metropoli carioca, in un quartiere molto
popoloso, povero e allo stesso tempo violento. Proprio da quelle parti lo
raccontano come di un ragazzo privo di vizi che non fumava, beveva poco, non
più di una pinta ogni tanto e le sue uscite si limitavano a quelle del cinema
con la fidanzatina. Aldair, supera le sue ansie e paure, firmando subito il suo
primo contratto da calciatore professionista nel 1986, esordendo al grande
Stadio Maracanà proprio in occasione del derby contro il Botafogo. Nel corso
del suo triennio in rossonero crebbe sotto l’ala protettiva di Leandro, suo
compagno di reparto e leggenda della retroguardia dei rossoneri ed è proprio
insieme a lui che vincerà anche il suo unico campionato brasiliano all’esordio
tra i professionisti. Nel frattempo, Aldair diventava sempre più forte e le sue
prestazioni crescevano partita dopo partita finché è nel 1988 che viene notato
da un grande allenatore: Sven Goran Eriksson che lo trova adatto per
sostituire, nel suo Benfica, il connazionale brasiliano Carlos Mozer nel
frattempo passato al Marsiglia. Anche in Portogallo Aldair fa delle prestazioni
eccezionali, giocando delle grandissime partite da titolare, blindando la
difesa e guidando i lusitani fino alla storica finale di Champions League del
1989 poi persa, per una rete a zero, contro il grande Milan degli olandesi di
Arrigo Sacchi.
Da quel giorno, infatti, non passò molto tempo affinché i tifosi
della Roma si accorgessero di che pasta fosse fatto. Aldair nel corso della sua
carriera si rivelò essere un difensore incredibilmente dotato tecnicamente con
un eccellente tempismo, un ottimo senso della posizione e un’innata sapienza
tattica. I suoi primi anni alla Roma
furono molto difficili, non solo per via dell’adattamento ai ritmi di gioco di
un campionato di livello come quello della Serie A ma soprattutto perché
ricominciò ad affiorare, in lui, nuovamente quella nostalgia di casa che tanto
lo avevano limitato agli inizi della sua carriera, anche per via del suo
cattivo rapporto con Ottavio Bianchi. Infatti, dopo appena una stagione giocata
con i giallorossi, Aldair valutava già la possibilità di fare ritorno in
Brasile. Nonostante i problemi di carattere personale, la sua prima stagione in
serie A si rivelò più che positiva, visto la vittoria ottenuta contro la
Sampdoria – campione d’Italia in carica - in finale di Coppa Italia. Aldair non
poteva però immaginarsi che dopo quel trofeo conquistato ci sarebbero voluti
altri dieci anni affinché la Roma ne conquistasse un altro. Gli anni Novanta,
infatti, furono caratterizzati da una costante girandola di allenatori
avvicendatesi sulla panchina della Roma: Vujadin Boskov, Carlo Mazzone, Carlos
Bianchi, Nils Liedholm e Zdenek Zeman, prima di un certo Fabio Capello.
Nonostante i giallorossi faticassero parecchio ad essere
competitivi in Serie A, la stella di Aldair brillava – incredibilmente - a
livello internazionale. Dal 1989, anno del suo debutto con la nazionale
brasiliana, fino al 2000, il difensore brasiliano rimase un punto fermo della
difesa della Seleçao, giocando un ruolo di primissimo piano nella rincorsa
verdeoro verso la conquista del continente sudamericano, prima, e del mondo,
poi. Ma il processo con cui diventerà una delle colonne portanti della difesa
brasiliana è stato lento, graduale e soprattutto molto ponderato. Un vero e
periodo d’oro, caratterizzato dalla conquista di numerosi trofei, innanzitutto
come la vittoria della Copa America nel 1989 - dopo quarant’anni di attesa -
nel cui torneo Aldair partì titolare in coppia con Marcio Santo e in cui il
Brasile riuscì nell’impresa di non subire nemmeno un gol. Per non parlare dei
Mondiali del 1994 - in cui la nazionale verdeoro si issò sul tetto del mondo
proprio in finale con l’Italia – al termine di un torneo dove Aldair non partiva
neppure come riserva del titolare, ma soltanto come un sostituto del rincalzo.
Infatti, furono gli infortuni in serie di grandi difensori come Ricardo Gomes e
Ricardo Rocha a spalancargli le porte della titolarità. Dunque, vittorie su
vittorie a cui seguirono - nel 1996 - la conquista della medaglia di bronzo ai
Giochi Olimpici di Atlanta e nel 1997 la Confederations Cup oltre ad un’altra
Copa America portata a casa dalla Seleçao. L’anno successivo, però, Aldair e il
Brasile non riuscirono a bissare il titolo mondiale conquistato quattro anni
prima, cadendo in finale sotto i colpi della Francia di Zinedine Zidane.
Ritornando all’avventura romana
Aldair dopo tanti anni senza trofei fu molto tentato nell’estate del 1999,
dalle sirene dell’Inter, che riuscì a fargli firmare un pre – contratto prima
dell’intervento del presidente romanista Franco Sensi che gli promise l’arrivo
nella capitale di Fabio Capello e quindi una Roma vincente; per questo motivo
cambiò idea rimanendo ancora per tanti anni in maglia giallorossa. La difesa
romanista della stagione 2000-01, composta da Aldair, Walter Samuel e Antonio
Carlos Zago, fu una delle più forti di sempre nella storia della Roma,
sfortunatamente, proprio nell’anno della conquista del terzo scudetto, Aldair
subì un grave infortunio a metà del campionato, perdendosi il grande finale di
stagione, culminata nella conquista del titolo iridato. Dopo quella stagione
così logorante – non solo dal punto di vista fisico - cominciò un periodo di
lento declino per la lunga avventura di Aldair in maglia giallorossa poiché il
peso delle mille battaglie e soprattutto l’età che avanzava inarrestabile
cominciavano a prendere il sopravvento sulla sua grande forza fisica. Per
questo motivo Fabio Capello lo utilizzava sempre meno nel suo undici titolare
nel corso del biennio successivo alla conquista dello scudetto, ma nonostante
tutto la sua classe rimaneva sempre intatta, come dimostrava ogni qualvolta che
veniva chiamato in causa.
La stagione 2002-03 fu l’ultima di Aldair con la maglia della
Roma e la sua ultima presenza, la numero 436 con i colori giallorossi, ebbe
luogo il 24 maggio 2003, in una gara interna contro l’Atalanta. Una gara priva
di significato; con i bergamaschi già retrocessi nonostante la vittoria per 2-1
con una Roma ancorata all’ottavo posto in classifica. Ma fu l’occasione per
Pluto e i sostenitori giallorossi di salutarsi per un’ultima volta, con un
ultimo lunghissimo giro di campo accolto dai fragorosi applausi di uno stadio
Olimpico gremito, conditi dalle mille lacrime dei tifosi nonché dello stesso
giocatore brasiliano visibilmente commosso dopo tredici stagioni vissute
intensamente. Ma la Roma per onorarlo nella sera del 2 Giugno del 2003
organizzò l’Aldair day attraverso una sfida tra Roma e Brasile, in cui il
brasiliano giocherà un tempo per parte con le due formazioni. Sarà una festa
bellissima davanti agli spalti gremiti dell’Olimpico che invocavano tutti il
nome di Aldair, a cui la società farà seguito ritirando la maglia numero sei
del brasiliano, che solo dieci anni dopo verrà riassegnata all’olandese Kevin
Strootman.
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